[Area] La guerra e le parole - di Emilio Sirianni
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Lun 30 Giu 2025 08:22:45 CEST
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_La guerra e le parole._
_Catanzaro: Camere penali e Associazione nazionale magistrati, rivedere
toni e argomenti a favore di rispettose e trasparenti occasioni di
confronto_
Premessa.
Le guerre di religione sono sempre state molto poco guerre di fedi e
molto guerre di potere. Anche il mero sospetto che il duro confronto fra
magistratura associata catanzarese e Camere Penali regionali possa
assumere posture da guerra di religione dovrebbe, dunque, indurre i
contendenti a rivedere toni ed argomenti in favore di reali, anche
appassionate, ma soprattutto rispettose e trasparenti occasioni di
confronto.
Adesso che, complici forse le temperature oramai estive, gli animi
parrebbero distesi, potrebbe essere il momento per tentare una sintesi e
magari persino comprendersi reciprocamente.
Si contrappongono questioni di portata generale, ampiamente dissodate da
pubblicistica e dottrina e, nel contempo, altre che, pur concernenti
specifiche vicende locali, ben si collocano nel contesto delle prime. Si
proverà ad esaminarle offrendo nulla di più che il punto di vista di un
magistrato. Uno come tanti, che esercita le funzioni in questo
territorio da ormai 33 anni (età simbolica), con intatta passione e
compassione, cumulando molte più amarezze che gratificazioni.
Con l'avvertenza che la matassa è ormai talmente ingarbugliata, come
avrebbe detto Camilleri, che occorrerà qualche strappo per venirne a
capo. Accettando il rischio, sempre presente nella ricerca di brandelli
di verità fra i meandri delle contrapposte convenienze, di urtare più
d'una suscettibilità
La guerra di comunicati.
La "guerra" fra magistratura catanzarese e Camere Penali finora sembra
essersi snodata in quattro round.
Il documento più risalente dovrebbe essere la lettera aperta che
l'allora Presidente della Giunta nazionale delle U.C.P.I. ha indirizzato
all'allora Presidente dell'A.N.M., in data 24 gennaio 2021,
sollecitandolo ad esprimere vicinanza e solidarietà ai giudici del
distretto di Catanzaro a fronte di un'intervista rilasciata dall'allora
Procuratore distrettuale al più importante quotidiano nazionale.
Intervista che sarebbe stata caratterizzata da _"improvvide e gravi
dichiarazioni"_ volte a spiegare _"il sistematico ridimensionamento
quantitativo e qualitativo delle ipotesi accusatorie"_ dal medesimo
formulate in molti giudizi con l'esistenza _"collusioni mafiose nella
giurisdizione"_ [1].
Questo il prologo, due anni e mezzo dopo il secondo round.
Allorché il Coordinamento delle Camere Penali Calabresi delibera
l'astensione dalle udienze per il giorno 20 luglio 2023 con un
comunicato dai toni durissimi. Si afferma che _"è oramai quotidiana la
concentrazione mediatica rivolta esclusivamente alle cosiddette
maxi-operazioni distrettuali calabresi, veri e propri bastimenti in cui
vengono 'ammassati' esseri umani"_ e che _"la nostra regione è oramai
divenuta la Calabria giudiziaria delle centinaia di ordini di cattura
eseguiti nottetempo, nell'ambito di quei maxi-processi -meglio
definibili processi straordinari in cui vengono concentrati presunti
innocenti in forza di una interpretazione giuridicamente eccentrica, da
parte della pubblica accusa, dell'istituto della connessione, che rende
tutto (mafiosamente e non teleologicamente) connesso"_, denunciando una
_"presunzione di colpevolezza"_ che colpirebbe gli _"ammassati in questi
processi extra-ordinem, svolti -non più in aule di giustizia ma- in
aule-bunker"_. Una deprecabile _"spettacolarizzazione"_ che avrebbe
_"raggiunto la più elevata e inimmaginabile vetta con la recente diretta
televisiva delle richieste di condanna nel procedimento denominato
'Rinascita Scott', a reti mediatiche unificate per garantirne l'ascolto
da talk-show di prima serata"_.
A queste, che sono denunce di fenomeni giudiziari e relativi risvolti
mediatici trascendenti, in verità, i confini calabri, si aggiungono
censure più specificamente rivolte al distretto catanzarese: gli
indagati ed imputati sottoposti a misura cautelare personale sarebbero
stati costretti ad _"un'anticamera di molti mesi" _prima che i loro
ricorsi fossero trattati dal Tribunale del riesame, mentre, per contro,
_"sino a poco tempo addietro"_, gli appelli cautelari della Procura
distrettuale sarebbero stati _"fissati, trattati e decisi con una
celerità che sarebbe stata ammirevole se non avesse impattato con
l'ingiustificato e incomprensibile trattamento differenziato dedicato
alle istanze di libertà dei presunti innocenti"_. Trattamento di favore
che sarebbe cessato solo dopo le vibrate proteste delle stesse CP. Le
quali, infine, denunciano quanto accertato in _"un'attività di
monitoraggio"_ da esse svolto sui procedimenti di riparazione per
ingiusta detenzione trattati dalla locale Corte d'Appello: la scandalosa
_"giacenza"_ di istanze di riparazioni risalenti al 2021 ed il
contestuale, singolare, dato relativo alle riparazioni riconosciute nel
2022: appena ventidue. Traendone la deduzione che questo _"improvviso
virtuosismo"_, che avrebbe consentito al distretto catanzarese di non
essere più _"fanalino di coda"_, sarebbe stato ottenuto proprio con lo
stratagemma di rallentare drasticamente la definizione delle relative
procedure.
Comunicato cui reagiva la Giunta Esecutiva Sezionale dell'A.N.M. di
Catanzaro dicendosi _"attonita"_ dal tenore dello stesso, risolventesi
in un "_ennesimo calunnioso e volgare attacco al lavoro della
magistratura, accusata, con un linguaggio evocativo di fatti storici
abominevoli, di ammassare esseri umani su bastimenti"_ ed in un
contestuale attacco alla libertà di stampa ed "_invocando l'intervento
del presidente del Consiglio Superiore della Magistratura _[_rectius_,
del Presidente della Repubblica]_ a tutela dei magistrati del
Distretto"_.
In questo rilassato contesto interveniva, nei primissimi giorni di marzo
del 2024, l'assoluzione, ad opera della Corte d'Appello di Catanzaro, di
un noto penalista calabrese dall'accusa di corruzione in atti giudiziari
per la quale, in primo grado, aveva subito una condanna a sei anni di
reclusione. Assoluzione che dava il via al terzo round, concretatosi in
un commento dalle Camere Penali connotato da un aplomb analogo a quello
dei precedenti[2] , con cui si denunciavano _"i quattro anni di calvario
trascorsi nell'attesa che la macchina infernale del processo
all'innocente si inceppasse finalmente e si svelasse insulsa,
indecifrabile, ciecamente violenta. Vergognosa in una parola"_. Anni di
detenzione resi possibili solo dalla _"miseria etica dal pregiudizio,
dal fanatismo belligerante che ottenebra menti devastate dal cancro del
sospetto"_. Concludendo in una declinazione d'imperativi: _"Non
dimentichiamo, non possiamo dimenticare. Non dimenticheremo"_.
Questa volta a replicare è La Giunta Esecutiva Nazionale dell'ANM, che
interviene il 3 marzo 2024 esprimendo solidarietà ai magistrati di
Catanzaro per quelle che definisce _"invettive livorose che travisano
quella che è la fisiologia del processo (qual è un'assoluzione in
appello che ribalta il verdetto di primo grado) con la patologia … non
esenti da toni vagamente intimidatori"_.
Dopo una fase di "agitazione" nel periodo estivo, le Camere Penali
calabresi, in data 11\9\2024, deliberano una _"astensione a staffetta"_
delle singole articolazioni provinciali, con inizio nelle giornate dal
16 al 20 settembre e conclusione in quelle dal 10 al 12 dicembre.
Abbandonando finalmente i toni da wrestling, ma senza rinunciare alla
radicalità delle rivendicazioni (a dimostrazione dell'inutilità dei
primi). Anche l'analisi è più approfondita. Si parte dalla grave
inadeguatezza degli organici del Tribunale di Catanzaro, sulla quale si
innesta l'apporto destabilizzante dei maxi processi, che determinano una
semi paralisi della Giustizia penale ordinaria per il drenaggio di
risorse che impongono; si denuncia il grave fenomeno della
_"delocalizzazione dei processi speciali, sottratti alla loro sede
naturale, concentrati nell'Area Attrezzata per Processi di Massa"_; si
lamenta la pressoché totale assenza di risposte da parte della Politica
e delle autorità Giudiziarie.
Un avvocato eletto nel Consiglio Giudiziario della locale Corte
d'Appello riprende il discorso -e siamo al quarto ed ultimo round- con
un articolo sul quotidiano "Il riformista" del 7 aprile 2025[3].
L'incipit dice tutto: _"Un Distretto in cui, più che altrove, la
privazione della libertà è stata il frutto di valutazioni
approssimative, dell'impiego della carcerazione preventiva come prima
ratio e, soprattutto, dell'accondiscendenza di una magistratura
giudicante, incapace di porre un argine a un meccanismo patologico di
regolazione della fase cautelare voluto dall'Ufficio requirente. Un
sovvertimento ideologico e culturale caratterizzato da una concezione
illiberale del rapporto tra autorità e libertà, nella quale l'in dubio
pro reo è mutato nell'in dubio pro republica"_. Ai già esposti argomenti
se ne aggiungeva un altro: quello dell' _"allontanamento"_, sotto
l'egida dell'ex Procuratore distrettuale, di alcuni magistrati del
distretto resisi colpevoli di avere ostacolato la deriva inquisitoria
che ne avrebbe travolto gli uffici. Poi di nuovo l'illegittima _"corsia
preferenziale"_ di cui, per un periodo, avrebbero goduto le
_"impugnazioni del requirente"_ presso il locale Tribunale del Riesame e
infine la denuncia dello spreco di denaro pubblico per la realizzazione
dell'aula bunker di Lamezia Terme. Necessaria al _"modello giudiziario
Catanzarese"_, ma poi divenuta inagibile per l'infelice ubicazione con
spostamento dei dibattimenti dei maxiprocessi nella lontanissima
Catania.
Inevitabilmente, retorica chiama retorica ed, ai toni da Grand Guignol
dell'autore dell'articolo, l'ANM di Catanzaro contrappone un quadro
elegiaco a trecentosessanta gradi, in cui il _"vero metodo Catanzaro"_ è
così descritto: "_La Giurisdizione calabrese è retta da Magistrati che
giungono nel Distretto di Catanzaro da tutte le parti d'Italia e che
mettono al servizio dei calabresi il loro fresco entusiasmo e la loro
vivace preparazione, forgiata da lunghi anni di studio. I Giudici del
Distretto di Catanzaro chinano il capo solo per studiare i fascicoli
sulle loro scrivanie e nella solitudine delle loro stanze. Nessun
condizionamento è mai intervenuto da alcuno. I Pubblici Ministeri del
Distretto di Catanzaro svolgono la loro funzione con dedizione e
nell'impegno esclusivo della ricerca della verità: nessuno intende
mietere vittime civili. Essi agiscono nel rispetto dei diritti di tutti
i soggetti coinvolti e in una condizione di piena parità processuale con
le altre parti"_.
Quest'ultimo e combattutissimo Round si concludeva con un'intervista del
Presidente della sezione di Catanzaro dell'ANM alla testata on line "La
Magistratura.it" del 29 aprile 2025, cui prontamente replicavano le
Camere Penali Calabresi, con una _"lettera aperta"_ (genere letterario
evidentemente tornato di gran moda) del 13 maggio scorso.
I numeri.
Per tentare di sbrogliare la matassa la prima cosa è cimentarsi sui
numeri, partendo ovviamente da numeri verificabili.
E tali certamente non sono quelli indicati singolarmente ad personam
nell'ultimo intervento dell'avvocatura appena citato, ovvero riferiti ai
procedimenti che sarebbero stati coordinati nel periodo febbraio 2017-
settembre 2023 dall'allora Procuratore della Repubblica di Catanzaro e
si sarebbero conclusi con una sentenza di proscioglimento, almeno di
primo grado, in favore di persona già sottoposta a misura cautelare
personale.
Intendiamoci, nulla vieta una tale indagine statistica unipersonale, ma
trattandosi di dati non evincibili da quanto è pubblico e consultabile e
trattandosi di un dato decisamente abnorme rispetto alle medie nazionali
e locali certificate (il 37,4% di arrestati poi assolti) un elementare
dovere di lealtà e correttezza avrebbe dovuto imporre: a) di
specificare in che modo siano stati raccolti quei dati; b) di
specificare gli estremi del bacino statistico di riferimento (ad es.,
indicando i numeri di registro notizie di reato dei relativi
procedimenti), in modo da consentire ad eventuali interessati o
controinteressati di verificare la fondatezza di quanto affermato.
In mancanza di ciò -e v'è dell'ironia nel fatto che a rilevarlo debba
essere chi scrive- rimane la sgradevolezza del gesto e la sua
irrilevanza ai fini che qui si propongono.
Eppure, dati obiettivi ed utili esistono e sono evincibili proprio dalla
relazione ex L. 16 aprile 2015, n. 47 del Ministro della Giustizia.
Prima di esaminarli, però, s'impone l'ineleganza di un'autocitazione.
E' evidente, come ripetutamente sottolineato dal Presidente dell'ANM
catanzarese, che nel sostrato delle appassionate accuse delle Camere
Penali calabresi si muove la fremente tensione verso l'obiettivo oramai
alle viste: la _"riforma finale"_ della magistratura che il Ministro
Nordio sta per ottenere. Occorre, quindi, rimuovere un inganno, quello
dei 30.000 indennizzati per errori giudiziari in 30 anni sempre
sventolato come bandiera, ma senza comparazione alcuna.
Sorvolando sul particolare che non è mai detto come sia stato accertato
questo numero[4], occorre infatti chiedersi con cosa esso debba essere
comparato.
Molto banalmente, per poter dire se sia davvero un dato scandaloso
occorrerebbe sapere quanti sono stati i procedimenti penali contro noti
avviati in tutte le Procure d'Italia nello stesso trentennio. Purtroppo,
però, _"sui dati delle nuove iscrizioni penali annuali c'è una grande
confusione"_.
I soli datti attendibili al riguardo si possono rinvenire sul sito del
Ministero della Giustizia per gli anni dal 2010 al 2012 e sul sito
dell'ISTAT per il 2014. Il totale dei procedimenti contro noti iscritti
in questo quadriennio è di 6.495.348. E poiché è banale osservare che le
misure cautelari esistono in ogni paese del mondo e non può stupire che
siano più frequenti in un paese in cui operano tre fra le più potenti
organizzazioni criminali del globo, dovrebbe colpire favorevolmente che
quei supposti 30 mila indennizzati, rapportati a questo solo
quadriennio, costituiscono poco meno dello 0,5%. Se poi si volesse
tentare un rapporto percentuale sull'intero periodo, ipotizzando, _"ad
esempio, 1.500.000 nuove iscrizioni all'anno (una media al ribasso
rispetto al quadriennio indicato), in 30 anni sarebbero 45.000.000 di
nuovi procedimenti penali avviati. Trentamila indennizzati, sarebbero
allora pari ad appena lo 0,065%"_[5].
Così ridimensionato il quadro dipinto dai fautori della "riforma
finale", conviene misurarsi sui numeri reali concernenti la nostra
regione.
Il primo rilievo da fare è che il dato delle 22 ordinanze di
accoglimento emesse dalla Corte d'Appello di Catanzaro nel 2022, che
tanto ha accalorato le CP, al punto da dichiararlo ottenuto grazie al
_"sostanziale blocco delle trattazioni delle istanze di ingiusta
detenzione"_, è, in realtà, un dato del tutto neutro. Essendo
documentalmente provato che in quell'anno non vi è stato alcun blocco o
rallentamento delle definizioni. Fonte sempre la relazione ministeriale:
la media delle definizioni annue a Catanzaro negli anni 2018, 2019,
2020, 2021 e 2023 è di 84,8 e le definizioni nel 2022 sono 69. Peraltro,
nel 2023 vi è stato un picco anomalo di ben 138 definizioni che altera
la media. Scorporando quest'ultimo anno, la media degli altri quattro
sarebbe di 71,5. Rispetto al quale le 69 definizioni del 2022 sono
perfettamente allineate.
Proviamo allora ad essere più rigorosi e anche più seri[6].
Il primo dato concerne i flussi procedimenti per ingiusta detenzione
definiti in Calabria nel periodo 2018-2023: Catanzaro 493 ovvero il 66%
circa delle domande pervenute, Reggio Calabria 829 ovvero il 105,4%
delle domande pervenute[7]. Vi è, quindi, un evidente divario di
produttività. Un dato che meriterebbe un'analisi e può avere molte
spiegazioni, sul quale ci si potrebbe confrontare anche deponendo le
armi.
Tuttavia, ve ne sono altri più allarmanti: quelli relativi alle domande
di riparazione per ingiusta detenzione ed all'entità dei relativi
importi corrisposti. Per meglio apprezzare i quali, è opportuno
considerare prima i dati della popolazione.
Quella nazionale, nel censimento del 2023, è di circa 59 milioni di
abitanti. In Calabria sono appena 1.846.610 ovvero poco più del 3%. Per
ragioni che meglio si intenderanno, è bene considerare anche la
popolazione delle regioni in cui sono radicate le altre due maggiori
organizzazioni mafiose: Sicilia, 4.814.016 abitanti ovvero circa l'8,15%
del totale nazionale; Campania, 5.609.536 abitanti ovvero circa il 9,5%
del totale nazionale. Le tre regioni insieme 12.270.162 abitanti ovvero
circa il 20,7%.
Tornando alle riparazioni per ingiusta detenzione nel quinquennio
2018-23, questi i numeri delle domande di riparazione:
Totale Nazionale: 7.469,
Totale Calabria: 1.525 (di cui 739 Catanzaro e 786 Reggio C.) ovvero il
20,4% del totale nazionale (a fronte del 3% di abitanti),
Totale Sicilia: 1.174 ovvero 15,7% del totale nazionale (a fronte del
8,15% di abitanti),
Totale Campania: 1.211 ovvero il 16,2% del totale nazionale (a fronte
del 9,5% di abitanti),
Le tre regioni insieme il 52,3% del totale nazionale (a fronte del 20,7%
di abitanti).
Questi, invece, i numeri relativi alle entità degli importi erogati[8]
nel detto periodo 2018-2023:
totale nazionale, EUR 200.547.821,
Calabria, EUR 69.741.605 (di cui EUR 24.678.461 Catanzaro e EUR
45.063.144 RC) pari al 34,7% (a fronte del 3% di abitanti),
Sicilia, 1.952.985+12.526.655+19.668.375 (i tre distretti) = EUR
34.148.015 pari al 17%, (a fronte del 8,15% di abitanti),
Campania: 13.979.402 + 5.081859 (i due distretti) = EUR 19.031.261 pari
allo 9,48% (a fronte del 9,5% di abitanti),
Le tre regioni insieme il 61,18% del totale (a fronte del 20,7% di
abitanti).
Questi sono i dati su cui occorrerebbe aprire un confronto ed è
innegabile che siano drammatici[9].
Come pure è innegabile che le mafie esistano e che il contrasto alle
stesse non sia, come suol dirsi, un pranzo di gala e tuttavia liquidare
la riflessione e il confronto con constatazioni del genere o analoghe,
equivalenti a poco più di un'alzata di spalle, non è accettabile.
In primo luogo, per la magistratura. Proprio quella magistratura che qui
opera con tutte le difficoltà e i sacrifici che il presidente dell'ANM
ha ben ricordato e che non può e non deve ritrarsi indignata quando i
numeri dicono che per ogni cittadino calabrese il rischio di patire un
giorno di ingiusta detenzione è dieci volte più alto (3% di abitanti,
34,7% di risarcimenti erogati) di quello che corre un non calabrese.
Il processo penale, la gogna, la giustizia.
* I "maxi"
Come si diceva, gli argomenti di fondo sono ampiamente dissodati da
decenni, ma è sempre bene ribadire alcune lapalissiane verità che
continuano ad essere bistrattate.
La prima delle quali è che, se l'equa riparazione per ingiusta
detenzione è istituzionalmente definita "indennizzo da atto lecito", è
perché: 1) a fronte di gravi reati e gravi pericoli (le famose "esigenze
cautelari") indicati dalle norme, in tutti i paesi del mondo è prevista
la possibilità di privare l'indagato della libertà anche prima di una
sentenza di condanna passata in giudicato; 2) anche in questi casi, come
in tutti gli altri, il processo penale potendo poi concludersi o con una
condanna o con una assoluzione. E', quindi, un rischio non eliminabile e
non eliminato in nessun paese al mondo.
Più interessante ed utile sarebbe isolare le sole ipotesi di c.d.
_"ingiustizia formale"_ di cui all'art.314, 2° comma c.p.c. ovvero
quelle in cui _"la custodia cautelare sia stata applicata
illegittimamente, cioè senza che ricorressero le condizioni di
applicabilità previste dagli artt. 273 e 280 c.p.p."_. Stupisce che le
Camere Penali Calabresi non vi abbiano pensato. Se lo avessero fatto, si
sarebbero avvedute che il dato nazionale delle riparazioni per
ingiustizia formale della detenzione è del 27,2% del totale (relazione
citata, pg. 35). Quello del distretto catanzarese è del 23,5%, quello
del distretto reggino del 22,2%. Questo il dato relativo solo al 2023.
Uno sforzo relativo di approfondimento, magari comune, potrebbe
consentire una ricostruzione della serie storica. Al momento, non rimane
che constatare che i dati non arridono alle loro tesi[10].
Meglio che il ragionamento parta, allora, da una riflessione d'ordine
teorico: quella relativa ai maxiprocessi. Nella quasi totalità processi
contro la criminalità organizzata e nella quasi totalità avviati con
imputati/indagati in vinculis (laddove il "quasi" è una forma di
scaramantico pudore).
E' puro buon senso riconoscere che in un processo con 100, 200 o 300
imputati i rischi di errori nella valutazione degli elementi di prova si
accrescano geometricamente.
Luigi Ferrajoli ne evidenzia anche quelli per la _"comprensione
equitativa della singolarità di ciascun caso" _[11][1], ricordando che
l'equità _"non consiste in una deroga o in un'eccezione o in una
correzione della legge, bensì in una specifica dimensione conoscitiva
che deve essere presente in ogni giudizio"_ e che _"nella comprensione e
nella valutazione delle circostanze singolari e irripetibili che fanno
di ciascun fatto, di ciascun caso sottoposto al giudizio, un fatto e un
caso irriducibilmente diversi da qualunque altro, pur se sussumibili -
per esempio il furto di una mela come il furto di un diamante - nella
medesima nozione legale. Giacché ogni fatto è diverso da qualunque
altro, e il giudice, e ancor prima il pubblico ministero, non hanno di
fronte le figure di reato in astratto, ma i fatti in concreto, e non
possono quindi sottrarsi al dovere della comprensione equitativa dei
loro specifici e irripetibili connotati"_. Una dimensione, quella
equitativa, _"pesantemente compromessa nei tanti maxi-processi per reati
associativi, talora con centinaia di imputati e decine di imputazioni
che impediscono valutazioni approfondite e differenziate delle accuse
addebitate a ciascuno degli imputati. Nello stesso modo in cui i fatti
denominati dal medesimo nomen juris sono tutti diversi tra loro, anche
il grado di colpevolezza e prima ancora di partecipazione di ciascun
imputato a un'associazione criminale è diverso da quello degli altri e
meriterebbe quindi una valutazione specifica"_. Il grande filosofo del
diritto pone così una questione fondamentale troppo spesso ignorata
dalla magistratura.
Alla quale se ne intende aggiungere un'altra, tratta dalla comune
esperienza di chiunque abbia svolto le funzioni di pubblico ministero: è
ben vero che le mafie sono organizzazioni ramificate, spesso
numericamente poderose e dedite alla commissione di una serie indefinita
di delitti, ma è altrettanto vero che i "maxi" nascono da informative di
polizia giudiziaria, che pervengono sulle scrivanie dei p.m., spesso
dopo interlocuzioni informali e poi si sviluppano ed eventualmente
ampliano quando, iniziato il procedimento, quelle interlocuzioni si
formalizzano secondo le regole della procedura. La prassi è che la
polizia giudiziaria tenda a dilatare le dimensioni delle indagini e,
quindi, dei successivi processi. Per diverse ragioni, non ultima la
notorietà che queste indagini danno a chi le conduce e le possibilità di
carriera che esse schiudono. Rispetto a questa tendenza i magistrati
inquirenti possono scegliere se assumere un atteggiamento
accondiscendente, remissivo o rigorosamente regolativo. Sono scelte
connesse all'idea che si ha del proprio ruolo costituzionale e non
saremmo sinceri se non ammettessimo che anche per questi magistrati
notorietà e connesse opportunità lavorative discendono dalla conduzione
di uno o più di questi "maxi".
Un'altra notazione si potrebbe aggiungere. I veri pericoli per
l'indipendenza non vengono dalla vituperata unicità delle "carriere"
della magistratura e quindi non sono corsi dai giudici rispetto
all'operato dei loro colleghi, quanto piuttosto dall'impronta che è data
al processo penale dalla polizia giudiziaria, Giano bifronte, che da un
lato è diretta dal pubblico ministero, ma dall'altra è gerarchicamente
subordinata a vertici che fanno capo al potere esecutivo.
Insomma, sebbene le mafie indubbiamente esistano, vi è poco di naturale
della proliferazione dei maxiprocessi e molto di (latamente e meno
latamente) politico. E, tanto più di fronte al principio
giurisprudenziale che consente di ritenere la prova dell'esistenza di
un'associazione mafiosa, definitivamente acquisita in un processo,
automaticamente ricevibile in un altro, non è agevole comprendere perché
nuove azioni giudiziarie nei confronti di capi e componenti di quella
stessa associazione non possano essere condotte, per dire, con sei
processi da 50 imputati l'uno anziché con uno solo di 300 imputati.
* La gogna e il medium.
E' sostanzialmente inevitabile che questo genere di procedimenti sia
accompagnato da grande risonanza mediatica, ma i magistrati ben
potrebbero, anzi dovrebbero evitare di aggiungere risonanza a risonanza
e sottrarsi attentamente ad ogni genere di passerella. Sottrarsi
soprattutto all'abbraccio interessato degli operatori mediatici, a
quella sorta di perniciosa simbiosi che consente ai primi di
delocalizzare la sorte dei processi penali condotti dalle aule
giudiziarie agli schermi di TV ed alle pagine di giornali ed ai secondi
d'ignorare l'arte del mestiere e la dura gavetta che comporta,
appoggiando comodamente le proprie carriere alla condiscendenza verso il
magistrato più loquace e vanaglorioso.
Eppure, in questo paese abbiamo avuto giornalisti come Giuseppe ("Joe")
Marrazzo, Giorgio Bocca o Enzo Biagi, capaci di scovare le notizie e
rivelarle, spesso anche agli stessi p.m. e giudici. Eppure, abbiamo
avuto magistrati capaci di indagare e processare e far condannare la
cupola della mafia siciliana ed i vertici della P2, senza aver mai avuto
bisogno di appoggiarsi ad un giornalista anzi rifuggendo con rigore ogni
narrazione mediatica.
La piccola "guerra" che qui si narra ha avuto inizio, come detto, con
l'intervista di un noto Procuratore, ma già sin da allora una parte
della magistratura ha formulato questa pubblica riflessione: _"Non
crediamo che la comunicazione dei Procuratori della Repubblica possa
spingersi fino al punto di lasciare intendere che essi siano gli unici
depositari della verità, e di evocare l'immagine del giudice che si
discosti dalle ipotesi accusatorie come nemico o colluso. Con un tale
agire, il Pubblico Ministero dismette il suo ruolo di primo tutore delle
garanzie e dei diritti costituzionali - a partire dal principio di non
colpevolezza - e assume quello di parte interessata solo al
conseguimento del risultato, lontano dalla cultura della giurisdizione e
dall'attenzione all'accertamento conseguito nel processo"_[12]. E ancora
sia consentita una seconda caduta di stile[13], ma l'argomento forse lo
merita: non è accettabile che un qualsiasi processo, maxi o mini che
sia, debutti con un'intervista in prima serata dell'inquirente che ha
diretto le relative indagini, nel corso della quale egli spieghi,
addirittura con messa in onda di prove video ed audio, le ragioni della
colpevolezza dei relativi imputati. Ed il consenso di popolo che può
accompagnare il sottostante processo e la stessa esternazione non rende
quest'ultima meno una barbarie.
* La giustizia.
Non intesa come concetto filosofico astratto, ma come concreta
amministrazione della stessa. Soprattutto qui, in questa regione da cui
si scrive.
Un altro dato notorio e non bisognevole di dimostrazione alcuna è che il
peso dei maxiprocessi si riverbera sugli uffici giudiziari in cui essi
impattano, tanto più se di piccole dimensioni. E tali sono in Calabria
sette tribunali sui dieci complessivi. Organici già ridotti, esposti
alle inevitabili temperie di trasferimenti, malattie e congedi parentali
o di maternità, vengono sbaragliati ad ogni nuovo maxi che si avvia in
questi uffici. Ne fa le spese per prima la giustizia civile,
previdenziale e del lavoro, proprio quella che dà il vero segno della
presenza dello Stato in un territorio ad alta densità criminale. E' il
tempo che ai cittadini occorre per ottenere la decisione di un ricorso
avverso il proprio licenziamento o l'erogazione di una prestazione
previdenziale o di una pensione o per ottenere la disponibilità di un
appartamento illecitamente occupato o anche solo difesa e tutela da
danni ed illegittimi sconfinamenti di bestiame a dare loro il senso di
vivere in uno Stato che merita di essere sostenuto e difeso e dal quale
si ha la percezione d'essere sostenuti e difesi. Piuttosto che avversato
ed eluso, magari ricorrendo a chi può dare tutela in altro modo e con
altri mezzi. Un tempo che in quei piccoli processi su cui impattano i
"maxi" spesso si misura in decenni.
La magistratura potrebbe decidere di regolare e gestire in modo rigoroso
ed indipendente i maxiprocessi, decidere che questo è possibile anziché
patirli come un inarrestabile fenomeno naturale al pari dei monsoni e
della siccità.
L'avvocatura e la magistratura insieme potrebbero, anziché ripetere
l'oramai intollerabile rosario di richieste di incrementi degli
organici, che si sa benissimo non saranno mai ottenuti, certo non nella
misura appena necessaria, provare ad intestarsi insieme l'unica
battaglia suscettibile di dare risultati immeditati, tangibili ed a
costo zero su questo fronte: la revisione della geografia giudiziaria.
Almeno altri tre di quei dieci tribunali potrebbero essere chiusi,
rafforzando gli organici dei sette superstiti. Anche il più inetto
studioso di scienze dell'organizzazione sa, infatti, che un Tribunale
con 40/50 magistrati in organico non può funzionare, eppure questo è
l'organigramma di ben cinque dei dieci tribunali calabresi. Una sicura
garanzia di inefficienza, soprattutto in una regione così marginale e
periferica in cui quasi mai i magistrati aspirano a rimanere per
l'intera carriera. Spesso nemmeno quelli autoctoni.
Invece, la classe forense si batte da anni, con il rischio di avere
successo date le propensioni dell'attuale Governo, per la riapertura
dell'unico tribunale calabrese soppresso, quello di Rossano. Per decenni
vero esempio di sfacelo organizzativo e non per responsabilità di chi lì
operasse, bensì per le ricordate, insuperabili, ragioni di tecnica
dell'organizzazione. Invece, con l'appoggio come sempre demenziale della
politica e dei media locali, si continuano ad agitare parole d'ordine
surreali come quella della _"giustizia di prossimità"_, quasi che per un
cittadino fosse meglio ottenere un verdetto sotto casa dopo dieci o
quindici anni, anziché dopo uno o due anni a tre quarti d'ora di
autobus.
La magistratura, per parte sua, è da sempre eufemisticamente tiepida
verso nuove soppressioni. Perché più tribunali vuol dire, per chi aspira
a fare "carriera", più "pennacchi" (come li chiamava un caro amico e
collega) da cogliere: più posti di Procuratore, Presidente di Tribunale,
presidente di Sezione, ecc. Ed anche la giovane magistratura ha qualche
convenienza a che sopravvivano tribunali più prossimi alle regioni del
centro - sud di origine, meglio collegati e che consentono più agevoli
rientri nei ponti o nei fine settimana.
Scendendo più nel dettaglio (1).
Scendendo di diversi scalini, si arriva a quelle specifiche vicende
tutte locali attorno alle quali si è pure avviluppato l'appassionato
confronto.
Se ne vorrebbe abbozzare un'analisi, ma evitando cedimenti a furbizie
che fanno poco onore a chi vi ricorre. E qui il riferimento è
all'evocato "allontanamento" di magistrati dal distretto catanzarese
perché ipoteticamente d'ingombro a discutibili prassi della locale
Procura distrettuale. Le questioni della giustizia sono troppo
importanti, per la vita di una comunità, per non imporre agli operatori
del ramo che meritoriamente intendano farne oggetto di pubblico
confronto un estremo rigore intellettuale. Non si vellica così
disinvoltamente la peninsulare propensione all'immaginifico complotto,
non quando sono in ballo le libertà e i diritti delle persone. Neppure
gli stessi magistrati a cui si allude meritano di essere così
scompostamente tirati in ballo. Gli atti di ciascuna di quelle vicende
sono accessibili e se ne può ben fare oggetto di discussione, ma seria e
documentata recuperando un minimo di compostezza mentale.
Altre vicende, invece, possono e meritano di essere trattate, ad esempio
quella dell'aula bunker di Lamezia Terme. Realizzata (e celebrata) a
tempo di record, in molti articoli di stampa, se n'è quantificato il
costo in cifre che variano dai due ai cinque milioni di euro.
Incomprensibilmente allocata nella desolata landa del mai decollato polo
chimico lametino (chi scrive ha invocato navigatori e santi dei secoli
lontani la prima volta che ne andò alla ricerca per l'inaugurazione
dell'anno giudiziario), la successiva degradazione, con connessa
necessità di nuovi investimenti per il restauro, parve dare ragione a
quanti, da subito, denunciarono che era stata edificata in una zona
alluvionale.
Fatto sta che, ora che è così deperita, i maxi (in particolare,
l'appello del maxi fra i maxi) si celebrano a Catania. Interi collegi di
Corte d'Assise e con loro difensori, personale amministrativo e forze
dell'ordine quasi ogni giorno sono costretti a trasferte nel
lontanissimo capoluogo etneo. Un oggettivo e non contestabile disastro
strutturale, organizzativo e finanziario che rende ovviamente più arduo
il rispetto di diritti e garanzie. Parlarne è non solo comprensibile, ma
doveroso, forse si potrebbe riuscire a farlo ascoltandosi e
rispettandosi reciprocamente.
L'altra specifica questione sollevata dalle Camere Penali è quella
relativa ad una presunta corsia preferenziale di cui avrebbero goduto,
per un non definito periodo, le impugnazioni cautelari della Procura
rispetto a quelle della difesa davanti al Tribunale del riesame
catanzarese. Se vera, sarebbe una circostanza di estrema gravità per
l'ovvia e comprensibile ragione che un indagato/imputato sottoposto a
misura cautelare personale è eccezionalmente privato della propria
libertà a dispetto dello status costituzionale di presunto innocente che
gli spetta. Una così eclatante, oltre che reiterata denuncia, avrebbe
imposto un'immediata e perentoria smentita, che purtroppo non è
arrivata.
Scendendo più nel dettaglio (2).
C'è, infine, nelle minute pieghe delle denunce delle Camere Penali, un
vuoto che balza all'occhio d'un osservatore allenato ed è poi lo stesso
che buca e affonda la fiera battaglia per la separazione delle carriere.
In entrambe, al netto della povera foglia di fico di Graziano
Zuncheddu[14], ad esempio della nefandezza dell'agire dei giudici
soggetti all'influsso dei loro colleghi requirenti, sono sempre portate
vicende che hanno colpito cittadini illustri. "Potenti", avrebbe
sentenziato la sdrucita retorica pseudo rivoluzionaria di lontani
decenni. Amministratori delegati di importanti aziende, sindaci,
ministri od ex, avvocati o professionisti di successo, attori, uomini
dello spettacolo. Come se una singolare selettività sovversiva (nel
senso dell'etimo: sovvertire = capovolgere) guidasse le cadute della
giurisdizione. Così non è ovviamente e che così, invece, continui ad
apparire nelle indignate denunce delle Camere Penali dice molto dei
reali obiettivi dell'osannata "riforma finale".
Eppure è storia nota, nelle nostre ed in ogni altra latitudine, che le
offese a diritti e garanzie, che si consumano nella giurisdizione
penale, hanno per vittime quasi sempre gli ultimi, i senza potere. E qui
in Calabria ciò accade più frequentemente di quanto si vorrebbe.
Come capitò a quel piccolo sindaco, che un potente ministro a ragione
definì _"uno zero"_, di un borgo semi abbandonato della locride. Quel
Lucano, sindaco dei senza voce a Riace, condotto prima agli arresti
domiciliari e poi allontanato dalla sua gente in un processo che ha
indignato molte persone in tutto il mondo, ma non le Camere Penali
calabresi. Eppure il padre del garantismo penale, sempre quel Ferrajoli
di cui sopra, ha definito quel processo con parole che avrebbero dovuto
far sobbalzare chi, con tanta enfasi, si professa paladino del
garantismo: _"l'intero giudizio contro Lucano è un caso esemplare di
quello che Beccaria, in contrapposizione a quello da lui chiamato
'processo informativo' , basato sulla 'indifferente ricerca del fatto' e
sulla disponibilità all'ascolto delle opposte ragioni, stigmatizzo come
'processo offensivo', nel quale, egli scrisse, 'il giudice diviene
nemico del reo e non cerca la verità del fatto, ma cerca nel prigioniero
il delitto, e lo insidia, e credere di perdere se non vi riesce, e di
far torto a quell'infallibilità che l'uomo s'arroga in tutte le cose'
(…) è una condanna politica, modellata sul cosiddetto 'diritto penale
del nemico, in contrasto con la regola dell'imparzialità, che è la prima
regola deontologica dei magistrati"_ . Ma Domenico ("Mimmo") Lucano non
era un potente, girava con una scassata Alfa Romeo e in banca non aveva
il becco d'un quattrino, come i suoi stessi inquisitori dovettero
ammettere e quindi non meritava infuocata indignazione.
Né si sono udite quelle stesse voci stigmatizzare l'odissea giudiziaria
di due giovanissime donne iraniane in fuga dal regime sanguinario degli
Ayatollah, una perché dissidente curda ed artista e l'altra perché
martirizzata dalla violenza di un marito padrone: sbarcate sulle nostre
coste ioniche, la seconda addirittura con il suo bimbo di otto anni,
furono incredibilmente accusate di favoreggiamento dell'immigrazione
clandestina sulla base di prove di cui era evidente la fragilità, messe
in carcere per lunghi mesi con gravi rischi per l'incolumità mentale e
fisica loro e di quel bambino ed assolte alla fine, ma mai degnate
d'attenzione da quegli autorevoli consessi.
Ed esempi di senza volto e senza voce che avrebbero meritato una
mobilitazione, che non c'è stata, da parte di chi esercita la nobile
professione del difensore se ne potrebbero fare a decine.
Le pietre e le parole.
In questi ultimi anni si è insomma assistito ad una fitta sassaiola
figurata in terra giudiziaria di Calabria, ma non di quelle che fanno
male. Retorica contro retorica, indignazione contro indignazione,
promesse, offese, declinazione di supposti imperativi. Si potrebbe
andare avanti così all'infinito, protetti da rispettivi status e
corporazioni, lanciandosi parole rese afone dalle rispettive
convenienze, nella più totale indifferenza dei cittadini di questa
regione.
Eppure, le parole, è noto, possono farsi pietre acuminate, le parole
conformano la realtà, la cambiano. Possibilità, tutte, direttamente
proporzionali alla capacità e disponibilità alla comprensione di quel
che con esse si vorrebbe rappresentare, alla sincerità ed al coraggio da
cui sono sostenute, al rigore e completezza delle analisi che
s'intendono proporre.
Non una confortante passeggiata fra le rispettive e contrapposte
sicurezze, insomma, è quella che ci vorrebbe, ma un cammino. Un cammino
oltremodo lungo e scomodo, ma molti più di quanti s'immagini, nell'uno e
nell'altro schieramento, sarebbero pronti a percorrerlo insieme.
_Emilio Sirianni_
[1] Qui l'articolo cui si riferiva la lettera del Presidente UPCI:
https://www.corriere.it/cronache/21_gennaio_21/lorenzo-cesa-gratterimacche-giustizia-orologeria-l-ho-sentito-io-dire-tv-non-entro-maggioranza-8e3a2c84-5c29-11eb-9e63-4c8bcf5518af.shtml
[2]
https://reggio.gazzettadelsud.it/articoli/cronaca/2024/03/02/armando-veneto-le-camere-penali-calabresi-un-processo-che-non-doveva-nemmeno-iniziare-89099ec1-9830-4320-9e98-e48dc7b5acb9/
[3]
https://www.ilriformista.it/catanzaro-storia-del-metodo-gratteri-smontero-la-calabria-come-un-trenino-lego-462604/
[4] Dettaglio di una certa rilevanza visto che l'obbligo per il Ministro
di relazionare su questi dati è stato introdotto solo nel 2015
[5] https://www.questionegiustizia.it/articolo/le-piaghe-e-la-panacea
[6] I dati a seguire sono sempre tratti dalla relazione ministeriale ex
L.47/2015. Si prende, per comodità, quella riferita al 2023
(
chrome-extension://efaidnbmnnnibpcajpcglclefindmkaj/https://www.giustizia.it/cmsresources/cms/documents/misure_cautelari_personali_2023_Aggiornamento_aprile2024.pdf)
perché è quella utilizzata dalle CP nella loro polemica, ma i dati di
quella relativa al 2024 non differiscono in modo sostanziale
[7] Da tener presente il disallineamento temporale fra pervenute e
definite. Queste ultime potendo essere (anzi quasi certamente in grande
parte essendo) relative ad annualità precedenti
[8] Cui fa da riscontro quanto scritto nella stessa relazione
ministeriale: _"I distretti maggiormente significativi quanto ad entità
di importi sono: Bari limitatamente ai primi tre anni esaminati,
Catania, Catanzaro, Napoli, Palermo, Reggio Calabria e Roma. Il maggiore
fra tutti quanto ad entità sembra essere quello di Reggio Calabria, con
un importo medio annuo di oltre 7 milioni di euro"_:
[9] Meriterebbe un approfondimento l'evidente discrasia fra i dati della
Calabria e quelli delle altre due regioni quanto al rapporto fra
percentuale di domande presentate e percentuale di importi risarcitori
erogati. Per Sicilia e Campania le due percentuali sono o
sostanzialmente sovrapponibili o molto prossime: Sicilia 15,7% delle
domande totali e 17% degli importi totali; Campania 16,2% delle domande
totali e 9,48% degli importi totali. Per la Calabria vi è una vistosa
eccedenza della percentuale degli importi rispetto a quella delle
domande: 20,4% delle domande e 34,7% degli importi erogati. Eccedenza
che dovrebbe spiegarsi con il maggiore numero di giorni medi di
detenzione risarciti per ciascuna domanda.
[10] Questo intervento è stato scritto in tempi molto ristretti e non vi
era la possibilità di estendere l'indagine. Si rimane sempre disponibili
alla creazione di eventuali gruppi di studio che intendano approfondire
l'argomento.
[11] L. Ferrajoli, _"Etica e giurisdizione. I fondamenti teorici"_
[12]
https://www.magistraturademocratica.it/articolo/il-pm-il-giudice-e-la-comunicazione/
[13]
https://www.questionegiustizia.it/articolo/la-rappresentazione-della-mafia-e-il-processo-pensieri-di-un-giudice-del-sud-davanti-alla-televisione
[14] La scarcerazione dello sfortunato pastore sardo è avvenuta ai sensi
dell'art.643 c.p.p. ovvero all'esito di un processo di revisione. Cioè,
per l'emergere di nuove prove dopo una condanna passata in giudicato.
Quindi, per definizione, i giudizi non avevano commesso alcun errore
Leggi sul sito di Magistratura democratica [1]
Links:
------
[1]
https://www.magistraturademocratica.it/articolo/la-guerra-e-le-parole/
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