Introduzione

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Questa raccolta degli interventi degli ultimi sette anni di Magistratura democratica e dell'Associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione sulle normative in tema di immigrazione e di condizione giuridica dello straniero non nasce certo da una volontà di auto-elebrazione. La ragione è un'altra e si ricollega alla consapevolezza che con la legge Bossi-Fini una fase, un capitolo della storia delle politiche migratorie si è chiuso: la raccolta dei documenti qui pubblicati, può servire allora a non disperdere il senso ed i risultati delle analisi e delle proposte elaborate nel corso di questi anni e, quindi, a mantenere vivo l'impegno "per una legislazione giusta ed efficace sull'immigrazione".

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Recepita la trasformazione dell'Italia da paese di emigrazione a paese di immigrazione, le normative introdotte nel corso degli anni '90 si sono mosse lungo direttrici tutto sommato costanti: rigida distinzione tra la condizione dell'immigrato regolare e quella dell'irregolare ed esclusione della possibilità di regolarizzazione a regime (ossia, al di fuori delle frequenti sanatorie); programmazione delle quote di ingressi ed ammissione per motivi di lavoro imperniata sull'incontro a livello mondiale tra domanda e offerta di lavoro; disciplina del soggiorno incentrata sull'attribuzione all'autorità di polizia di poteri incisivi e largamente discrezionali; espulsione come risposta a qualsiasi violazione della normativa in tema di ingresso o di soggiorno e previsione di strumenti esecutivi basati su istituti amministrativistici o penalistici in forte tensione - anche in punto di tutela giurisdizionale - con le garanzie costituzionali.
Vista nel suo insieme, la normativa sull'immigrazione degli anni '90 appare isprirata ad un approccio difensivo, di contenimento, un approccio inconsapevole della dimensione epocale dei fenomeni migratori dei nostri tempi: è questa dimensione che rende l'immigrazione "suscettibile di interventi correttivi e di governo ma non comprimibile con la logica dei divieti", una logica che produce solo clandestinità ed emarginazione [1995].
Molte erano le soluzioni praticabili nella direzione di un governo dei fenomeni migratori proiettato "in una prospettiva di gradualità e integrazione": sul piano della disciplina degli ingressi, appariva necessaria l'introduzione di un permesso "per ricerca di lavoro", svincolato dall'assurdo principio dell'incontro "a distanza" tra domanda e offerta di lavoro; la normativa in tema di soggiorno avrebbe potuto contemplare la convertibilità dei titoli di soggiorno e l'introduzione di un "visto di reingresso" che consentisse la libera circolazione all'estero del migrante; era necessaria un'apertura alla prospettiva della stabilizzazione e dell'integrazione dei migranti, che comportasse, ad esempio, il riconoscimento nei loro confronti "dell'elettorato attivo e passivo in sede amministrativa"; infine, per quanto concerne la disciplina della irregolarità, era indispensabile attribuire all'espulsione il ruolo di risposta alle trasgressioni pi gravi: "usare espulsioni e allontanamenti come strumenti ordinari di governo del fenomeno migratorio (e non delle sue patologie) significa andare incontro a un sicuro fallimento" [1996].
La legge Napolitano-Turco restò in larga misura distante dalla prospettiva delineata nei documenti qui pubblicati: l'arroccamento sulla logica binaria e sulla sua irrealistica pretesa di tenere chirurgicamente separate l'immigrazione regolare da quella irregolare si è tradotto nella mancata previsione di meccanismi di "regolarizzazione in itinere dello straniero che, pur entrato irregolarmente, venga a trovarsi in condizioni (lavorative, familiari, economiche, etc.) che lo consentano" [1997]; l'ingresso e il soggiorno del migrante regolare sono stati subordinati al requisito della "disponibilità di mezzi di sussistenza sufficienti, sia per la durata del soggiorno, sia per il ritorno nel paese di provenienza", un requisito ben poco coerente con la realtà dei fenomeni migratori; sempre nella direzione della precarizzazione della condizione dello straniero, la legge ha previsto una fitta ed incisiva rete di controlli affidati all'autorità di polizia che testimonia la visione del migrante, per un verso, come un soggetto potenzialmente pericoloso per l'ordine pubblico e, per altro verso, come un ospite in prova perpetua.
Ma è sul terreno della disciplina dell'irregolarità che la legge Napolitano-Turco ha fatto registrare le scelte pi gravi, scelte concretizzatesi nella previsione di figure di reato espressione di un vero e proprio diritto penale speciale, nella sterilizzazione del controllo giurisdizionale sulle procedure di allontanamento e, soprattutto, nell'introduzione della detenzione amministrativa, una misura di trattenimento degli irregolari pesantemente limitativa della libertà personale dei migranti: "la disciplina del respingimento e dell'espulsione è quella che maggiormente si presta a critiche, soprattutto nel suo perdurante equivoco di utilizzare come sostitutivi della (scarsa) efficienza amministrativa strumenti repressivi ed antigarantistici" [1997].
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Alla prova dei fatti, la logica binaria che ispirava la legge Napolitano-Turco ha trovato applicazione soprattutto dal lato duro del trattamento dei migranti irregolari. Dal lato buono dell'integrazione dell'immigrazione regolare, invece, l'attuazione della normativa del 1998 ha rivelato gravi inadeguatezze: per giudizio ampiamente condiviso, le politiche di accoglienza - previste dal titolo V della legge Napolitano-Turco dedicato alle "disposizioni in materia sanitaria, nonch di istruzione, alloggio, partecipazione alla vita pubblica e integrazione sociale" - sono restate in larga misura inattuate, a tutto vantaggio di un approccio alle questioni dell'immigrazione schiacciato sulla prospettiva dell'ordine pubblico.
Enfatizzato dal dilagare della retorica sicuritaria e dal credito acquisito, anche a sinistra, dalle politiche di zero tolerance, questo approccio ha prodotto, ad esempio, il d.d.l. n. 4656 (cd. indultino), presentato nella scorsa legislatura dalla maggioranza di centrosinistra ed approvato da un solo ramo del parlamento. I contenuti del d.d.l. (recepiti in gran parte dalla successiva legge Bossi-Fini) sancivano un grave arretramento delle garanzie costituzionali dei diritti fondamentali dei migranti: come Md ed Asgi segnalarono, la normativa prevista dal d.d.l., "se definitivamente approvata dal Parlamento, completerà il disegno di un diritto speciale per gli stranieri fondato su un trattamento deteriore rispetto ai cittadini e sulla amministrativizzazione dei diritti fondamentali che già trova nei centri di permanenza temporanea e assistenza (rectius, di detenzione amministrativa) introdotti dalla legge Napolitano-Turco la sua pi allarmante espressione.
Così come la permanenza temporanea nei centri fa leva su una dimensione non penalistica per eludere le garanzie sostanziali e processuali dell'ordinamento penale, la nuova disciplina dell'espulsione garantirà una sorta di automatismo tra provvedimento amministrativo e pronunce giudiziarie, restituendo alla giurisdizione l'antico ruolo di passacarte dell'autorità di polizia. Una riedizione, insomma, della contrapposizione liberalottocentesca tra un sistema penale ispirato ai princìpi del garantismo per i galantuomini e un diritto speciale di polizia per le classi pericolose. Respingere questa impostazione non significa sottovalutare le esigenze di tutela della collettività e la necessità di restituire sicurezza ai cittadini. Lo abbiamo ribadito pi volte: il sistema delle espulsioni è uno degli strumenti per affrontare le patologie dell'immigrazione, ma esso può essere utile solo se ancorato a princìpi di razionalità e di equità. In concreto ciò significa contenere, anzich estendere, le ipotesi di espulsione, limitandole alle violazioni amministrative insanabili e protratte ed alla commissione di reati di gravità medio-alta: in questi casi l'impegno degli apparati per dare effettività alle espulsioni disposte deve essere affinato e incrementato; nelle altre ipotesi è necessario, invece, un governo duttile della situazione con previsione di possibilità di sanatoria" [2000].
D'altra parte, la pressione politico-mediatica sulle questioni dell'immigrazione clandestina non è rimasta circoscritta alla elaborazione de jure condendo, ma ha investito anche l'attività giurisdizionale. Le ordinanze del novembre del 2000 con le quali alcuni giudici del tribunale di Milano sollevarono diverse eccezioni di illegittimità costituzionale del sottosistema previsto dalla legge Napolitano-Turco in tema di allontanamento dello straniero, suscitarono polemiche tanto aspre quanto ingiustificate: la pronuncia della Corte Costituzionale (la sentenza interpretativa di rigetto n. 105/2001) e il successivo decreto-legge n. 51/2002 (emanato dal governo Berlusconi per sanare un profilo di illegittimità costituzionale della disciplina sull'accompagnamento coattivo emerso proprio grazie alle ordinanze dei giudici milanesi) hanno reso giustizia di quelle polemiche strumentali. *****
E' nel contesto politico-normativo dominato dalle logiche del neoliberismo sicuritario che si colloca il disegno di legge Bossi-Fini, le cui linee-guida sono risultate convergenti nel delineare una politica di rifiuto dell'immigrazione: "una drastica chiusura dei canali di ingresso regolare; una netta tendenza verso la precarizzazione del soggiorno; una riscrittura della disciplina degli allontanamenti caratterizzata da allarmanti profili di illegittimità costituzionale e foriera di una forte spinta verso l'ulteriore amministrativizzazione dei diritti fondamentali degli stranieri; un sensibile irrigidimento della normativa penale; uno svuotamento, in termini di effettività, del diritto d'asilo" [2002a].
Nella nuova normativa, la visione del migrante come un soggetto potenzialmente pericoloso per l'ordine pubblico conduce all'esasperazione degli istituti di stampo segregazionistico preordinati alla gestione dell'immigrazione irregolare, mentre la ulteriore spinta verso la precarizzazione dei diritti fondamentali degli stranieri si traduce nella codificazione di una condizione di inferiorizzazione socioeconomica del migrante e di una posizione di dominio del datore di lavoro sulla sua persona: "se approvato, il disegno di legge governativo non condurrà ad un governo giusto ed efficace dei fenomeni migratori, ma comporterà un'ampia e profonda compressione dei diritti fondamentali dei migranti; non raggiungerà gli scopi dichiarati e, in particolare, non ridurrà l'area dell'immigrazione irregolare, destinata anzi ad allargarsi a causa sia della mancata adozione di strumenti di assorbimento della clandestinità, sia della drastica chiusura dei canali di ingresso legale; non favorirà l'integrazione dell'immigrazione regolare, che, attraverso l'accentuazione dei processi di precarizzazione/amministrativizzazione della condizione giuridica degli stranieri indotta dalle nuove norme in tema di soggiorno e di allontanamento, sarà spinta verso una dimensione sempre pi marcatamente servile."
Nel corso dell'iter parlamentare, sono state introdotte, da una parte, una sanatoria per le cd. badanti (seguita da un successivo decreto-legge per la legalizzazione dei lavoratori immigrati irregolari) e, dall'altra, una norma che prescrive la rilevazione delle impronte digitali per tutti gli stranieri; si tratta di una norma ingiustificata e odiosa: "ingiustificata perch già oggi è prevista per chi, italiano o straniero, "non è in grado o rifiuta di provare la propria identità" la sottoposizione a rilievi segnaletici e dattiloscopici (artt. 4 e 144 Testo unico di pubblica sicurezza); odiosa perch viola in maniera clamorosa il principio di eguaglianza, fondamento dello Stato di diritto e di ogni sistema democratico dalla Rivoluzione francese in poi.
Destinatari della nuova disposizione non sono i "clandestini" ma coloro che, a qualunque titolo, entrano legalmente in Italia" [2002b]. Quale assetto della condizione giuridica del migrante viene delineato dalla legge Bossi-Fini? E' questo il terreno sul quale Md e l'Asgi proseguiranno il loro impegno, con l'analisi della giurisprudenza e delle prassi.
Netta, tuttavia, è l'impressione che, come si diceva all'inizio, una fase delle politiche in tema di immigrazione si sia chiusa, con il superamento di quella logica binaria che aveva ispirato la legge Napolitano-Turco. Infatti, pur fortemente condizionata dalla visione dell'immigrazione come problema di ordine pubblico, pur svilita da indirizzi attuativi senz'altro inadeguati, la prospettiva dell'integrazione - ossia, la prima delle due facce della logica binaria - era riuscita a trovare uno spazio di affermazione: grazie al pur limitato dispiegarsi della catena migratoria ed alle varie sanatorie eccezionali, un significativo processo di integrazione dei migranti si era così avviato nel nostro Paese. Con la legge Bossi-Fini, la logica binaria è destinata a cedere il passo all'opzione immigrazione zero; la clandestinizzazione dei flussi migratori dilaterà a dismisura l'operatività degli strumenti di segregazione degli stranieri; lo spazio per l'integrazione risulterà drasticamente compresso dal prevalere delle spinte verso una condizione dei migranti di natura "sempre pi marcatamente servile".
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Un'ultima annotazione appare opportuna a conclusione della presentazione degli interventi di Md e dell'Asgi sulle normative in tema di immigrazione e di condizione giuridica dello straniero: si tratta di una considerazione certo marginale rispetto alla rilevanza dei temi oggetto dei documenti qui pubblicati e che, tuttavia, non è priva di significato nel contesto del discorso pubblico sulla giustizia dei nostri giorni.
Una della costanti di questo discorso è, infatti, rappresentata dalla contrapposizione tra magistratura e avvocatura, contrapposizione ritenuta emblematica della lacerazione insanabile dell'idem sentire dei giuristi e del prevalere, all'interno di ciascuna categoria, di logiche schiettamente corporative. Molti segni dell'inconsistenza di questa rappresentazione del mondo dei giuristi si sono registrati negli ultimi tempi; ed uno di questi segni è senz'altro rappresentato dalla consolidata collaborazione tra Md e l'Asgi,una collaborazione dalla quale ha tratto origine, tra l'altro, la rivista trimestrale Diritto, immigrazione, cittadinanza, che nel giro di pochi anni è diventata un sicuro punto di riferimento culturale per i giuristi e gli operatori impegnati sul terreno dell'immigrazione.
I documenti qui pubblicati, allora, aiutano forse a dimostrare che prima delle corporazioni ed oltre i corporativismi, ci sono i valori e i principi affermati dalla Costituzione repubblicana, ci sono i diritti fondamentali delle persone - di tutte le persone - e le garanzie inviolabili assicurate dalla giurisdizione e da tutti coloro che nella giurisdizione continuano a credere. Angelo Caputo
Lorenzo Trucco

25 03 2003
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