Gruppo di lavoro sull'immigrazione

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- Gruppo di lavoro sull'immigrazione -

Immigrazione: un banco di prova per la democrazia costituzionale, un terreno di impegno concreto per la giurisdizione e per Magistratura democratica

«La realtà dell'immigrazione in Italia ha due volti. Il primo è rappresentato da poco meno di tre milioni di stranieri regolarmente soggiornanti, corrispondenti a quasi il 5% della popola-zione, ossia ad una regione italiana media: è il volto dell'immigrazione nelle nostre scuole e nel mondo del lavoro, dove la società multiculturale non è una prospettiva, ma una realtà quotidiana ormai consolidata. Il secondo è il volto del centro di Lampedusa e dei respingi-menti verso la Libia, il volto delle gravi violazioni dei diritti fondamentali della persona denun-ciate dai rapporti di autorevoli organizzazioni umanitarie e da incisive inchieste giornalistiche; ma è anche il volto delle aule dei tribunali dove arresti e direttissime per i reati artificiali colle-gati all'espulsione assorbono in modo abnorme le risorse degli apparati giudiziari e di poli-zia».

E' questa la descrizione della realtà dell'immigrazione in Italia con la quale esordiva il do-cumento - «Una svolta possibile e necessaria. Dieci punti per una nuova politica del diritto dell'immigrazione» - diffuso nel giugno del 2006 da Magistratura democratica e dall'Asgi (As-sociazione per gli studi giuridici sull'immigrazione). Il documento raccoglie le proposte «per una legislazione giusta ed efficace sull'immigrazione» frutto della elaborazione comune svi-luppata da pi di dieci anni e offre una serie di indicazioni per «una politica del diritto della convivenza» derivanti dalla riflessione pi di recente avviata, offrendo le une e le altre all'analisi dei giuristi e al dibattito politico-culturale su temi cruciali per la tenuta delle garan-zie costituzionali della persona e per la qualità della nostra società democratica.

Per la loro obiettiva rilevanza o, comunque, per la pi immediata attinenza che li caratte-rizza rispetto all'impegno cui è chiamata la giurisdizione, è opportuno riprendere e sviluppare nel dibattito congressuale di Magistratura democratica alcuni spunti dell'analisi offerta dal documento del giugno 2006.

Il diritto speciale dei migranti.

Fin dalla presentazione del disegno di legge governativo poi approvato con la legge Turco-Napolitano, abbiamo espresso una posizione di netta contrarietà alla detenzione ammini-strativa: il trattenimento nei centri di permanenza temporanea, infatti, si concretizza in una restrizione di tipo carcerario della libertà personale del migrante, disposta sulla base di pre-supposti applicativi largamente discrezionali, sottratta ad un effettivo controllo giurisdizionale, del tutto sproporzionata rispetto al provvedimento di espulsione alla cui esecuzione è finaliz-zata e assolutamente inutile ai fini di una gestione razionale dell'immigrazione irregolare.

Le rotture sul piano dei princìpi e delle garanzie - è una regola costante - hanno una na-turale capacità espansiva. E così il trattenimento amministrativo è stato esteso, nel 2002, anche ai soggetti che richiedono il riconoscimento dello status di rifugiato; poi, con la rifor-ma iper-proibizionistica del D.P.R. n. 309/1990 varata alla fine della scorsa legislatura, il mo-dello di limitazione dei diritti fondamentali della persona sperimentato sul terreno della condi-zione giuridica dei migranti è stato riproposto con riferimento alle misure amministrative applicabili agli assuntori di stupefacenti.

Dopo che la Corte costituzionale aveva dichiarato l'illegittimità della disciplina relativa alla convalida dell'accompagnamento alla frontiera, il legislatore del 2004 ha attribuito al giudice di pace la competenza sull'intera materia delle espulsioni, ossia anche con riferimento a provvedimenti destinati ad incidere sulla garanzia dell'habeas corpus: si è trattato di una scelta (peraltro anticipata dalle prassi distorte di alcuni uffici e dalle determinazioni del C.S.M., che avevano in gran parte delegato ai g.o.t. dette materie) che esaspera le torsioni del diritto speciale dei migranti e che Magistratura democratica ha criticato - e deve conti-nuare a criticare - con forza.

Con la legge Bossi-Fini era stato poi introdotto un meccanismo arresto/giudizio diret-tissimo/espulsione incentrato sui reati collegati all'espulsione: travolto, ancora una volta, dalla Corte costituzionale, che aveva significativamente definito impropria la finalizzazione dell'arresto dello straniero alla sua espulsione, il meccanismo è stato re-introdotto dalla suc-cessiva legge n. 271 del 2004 attraverso la trasformazione in delitti di tali reati, puniti oggi con pene severissime che esaltano, se comparate con quelle previste per la criminalità dei colletti bianchi, la poco innocente schizofrenia della nostra giustizia penale.

Gli effetti sull'attività giudiziaria sono sotto gli occhi di tutti (e sono stati analizzati nella ri-cognizione pubblicata sulle nostre Riviste circa i dati e le prassi pi significative riguardanti i processi per i reati di cui agli artt. 13 e 14 del t.u. imm.): nell'azione degli organi di polizia e nella realtà di molti nostri tribunali la repressione dei reati marcatamente artificiali colle-gati all'espulsione rappresenta la vera priorità della giustizia penale, una priorità che assorbe una parte rilevantissima delle risorse a disposizione della macchina giudiziaria, rele-gando in secondo piano la sicurezza vera delle città (quella messa a repentaglio, prima di tutto, dai reati contro la vita e l'incolumità individuale, ma anche dai reati contro il patrimonio). E sotto gli occhi di tutti è l'impatto provocato dalla configurazione quali delitti dei reati colle-gati all'espulsione sul sistema carcerario (all'interno del quale, peraltro, i detenuti stranieri scontano gravi difficoltà nell'accesso alle misure alternative): come ha segnalato lo stesso Ministro della giustizia, solo nel 2005 ben 11.519 ingressi in carcere sono avvenuti in rela-zione a tali reati.

La società multiculturale e la giurisdizione.

Di fronte alla realtà di una società come quella italiana che è già, in misura significativa, una società multiculturale, la discussione pubblica e l'elaborazione politica sui relativi temi sono a dir poco arretrate. La disciplina di ingresso e soggiorno è costruita in modo da produr-re irregolarità, mentre la disciplina sull'allontanamento - il diritto speciale nei suoi profili pe-nalistici e di diritto amministrativo - rappresenta il vero baricentro della legislazione sull'immi-grazione e dell'azione dei pubblici poteri. Così, la visione dell'immigrazione che sta alla base della nostra normativa resta sempre la stessa, la visione dell'emergenza e dell'invasione: il migrante come ospite in prova perpetua, per il quale ogni seria prospettiva di stabilizzazione deve fare i conti con una condizione giuridica all'insegna della precarizzazione; il migrante come soggetto in s pericoloso per l'ordine pubblico, da assoggettare ad una fitta rete di controlli di polizia e a misure finalizzate all'espulsione destinate ad incidere pesantemente sulla libertà personale.

Da questo punto di vista, chiudere la stagione del diritto speciale dei migranti rappresenta il presupposto per iniziare a mettere a fuoco le linee di una politica del diritto della convi-venza, affrontando i gravi problemi posti dalla società multiculturale senza approcci irenistici, che questi problemi corrono il rischio di sottovalutare.

Anche su questo terreno esistono compiti della politica e doveri della giurisdizione.

La politica deve promuovere una svolta - possibile e necessaria - sulle politiche del diritto dell'immigrazione: abolizione del diritto speciale dei migranti, introduzione di norma-tive sugli ingressi e sul soggiorno giuste ed efficaci e di una disciplina su richiedenti asilo e rifugiati in linea con la Costituzione e con la normativa internazionale, promozione effettiva di quelle misure di «integrazione sociale» previste dal titolo quinto del testo unico del 1998 ma in concreto largamente inattuate.

I doveri della giurisdizione devono essere orientati, innanzi tutto, ad assicurare la tutela del nucleo essenziale, intangibile dei diritti fondamentali della persona, che, in quanto legge del pi debole (Ferrajoli), devono essere protetti anche nei confronti di una determina-ta identità culturale e dei gruppi sociali che la esprimono: in particolare, la giurisdizione -quella penale, ma anche, con un approccio mite, quella civile e quelle minorile - deve garan-tire, all'interno della famiglia, i diritti fondamentali dei minori e delle donne in conflitto con le culture di appartenenza.

In una seconda prospettiva, la giurisdizione è chiamata ad esercitare un ruolo di pro-mozione dei diversi profili del «diritto alla diversità culturale, religiosa e linguistica» per usare l'espressione dell'art. 22 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea: spe-cialmente sui delicati terreni della famiglia e dei minori, che già oggi impegnano sensibilmen-te la giurisdizione, le questioni e i conflitti derivanti dalla presenza di immigrati nel nostro Paese pongono rilevanti sfide non solo alla cultura dei magistrati, ma anche alla loro forma-zione e alla stessa organizzazione dell'attività giudiziaria (si pensi, ad esempio, ai rilevanti problemi derivanti dalla necessità di garantire il diritto all'interprete).

D'altra parte, è la collocazione istituzionale della giurisdizione in un sistema pluralistico a far sì che essa sia fisiologicamente uno dei primi luoghi in cui soggetti ed interessi nuovi cer-cano un riconoscimento nello spazio pubblico: in questa prospettiva, la promozione dei diritti sociali dei migranti può trovare un valido strumento nella normativa antidiscriminatoria - introdotta prima attraverso l'azione ad hoc prevista dall'art. 44 t.u.imm., poi attraverso il rece-pimento delle direttive comunitarie in materia - che, pur presentando un grado di effettività ancora insoddisfacente (sia nell'utilizzo di tali procedure, sia nell'applicazione giurispruden-ziale), rivela potenzialità senz'altro da valorizzare.

Un ruolo-chiave è poi rivestito dalla giustizia del lavoro, chiamata ad intervenire sulla condizione del lavoratore immigrato, una condizione pesantemente segnata da una realtà di sottoprotezione economico-sociale destinata a saldarsi con la precarizzazione giuridica che caratterizza la disciplina del soggiorno dello straniero: anche su questo terreno, l'analisi della giurisprudenza e delle prassi segnala come il lavoro da svolgere sia complesso e impegnati-vo, ma, allo stesso tempo, decisivo per contrastare la condizione di cittadinanza dimezzata alla quale sono soggetti i lavoratori immigrati.

L'impegno per la giurisdizione e per Magistratura democratica

L'impegno di Magistratura democratica sui diversi profili delle questioni concernenti l'immigrazione si è sviluppato, innanzi tutto, nella direzione dell'analisi critica della legisla-zione e della giurisprudenza. Il nostro sforzo ha contribuito a far crescere - tra i giuristi e nella magistratura - l'attenzione verso le profonde torsioni delle garanzie fondamentali che caratterizzano la condizione giuridica del migrante, un'attenzione di cui lo spessore degli o-rientamenti della giurisprudenza e l'intenso dialogo che essa ha saputo instaurare con il giu-dice delle leggi (pi volte intervenuto per dichiarare l'illegittimità costituzionale di segmenti centrali della legislazione o per fornire di essi interpretazioni costituzionalmente orientate) rappresentano la migliore testimonianza.

Naturalmente, molto, anzi moltissimo resta ancora da fare. Molte prassi degli uffici giu-diziari appaiono ancora fortemente condizionate da approcci burocratici destinati a riflettersi pesantemente sulla effettività della tutela giurisdizionale e molti orientamenti giurisprudenziali non sono in grado di emanciparsi da un formalismo poco consapevole della rilevanza degli interessi in gioco e della complessità delle questioni affrontate, spesso riconducibili ad un in-treccio di rami diversi dell'ordinamento e a fonti eterogenee (anche internazionali). Le stesse pronunce del giudice costituzionale non sempre sono apparse pienamente in linea con il principio personalistico e il principio d'eguaglianza che, sul terreno dei diritti fondamentali della persona, non ammettono discipline differenziate in base alla cittadinanza.

Le prassi giudiziarie e la giurisprudenza sulle diverse questioni dell'immigrazione devono dunque restare centrali nell'impegno di Magistratura democratica, un impegno che in questi anni si è indirizzato anche verso la riflessione critica sulle normative succedutesi nel tem-po e, pi in generale, sugli indirizzi di politica del diritto che esse hanno espresso. La par-tecipazione alla discussione pubblica sulle politiche del diritto in tema di immigrazio-ne si è alimentata attraverso un intenso dialogo con i diversi soggetti che operano nei vari campi dell'immigrazione, ossia con l'associazionismo laico e religioso (in particolare, l'Arci di cui Md è co-organizzatrice del meeting annuale di Cecina, il principale punto di incontro dell'universo dell'immigrazione), con i sindacati, con le organizzazioni umanitarie.

Un rilievo particolare assume la collaborazione ormai consolidata di Magistratura democratica con l'Asgi. Frutto di questa collaborazione è la rivista trimestrale Diritto, immigrazione e cittadinanza, che dal 1999 affronta in modo sistematico tutti i profili della condizione giuridica del migrante, offrendo un'approfondita rassegna della giurisprudenza - anche sovranazionale - sulle diverse materie incidenti su tale condizione. La collaborazione con l'Asgi si sviluppa poi su molti altri terreni, dalla periodica organizzazione di momenti di approfondimento seminariale sui temi maggiormente dibattuti nella giurisprudenza e nella di-scussione generale all'adozione di iniziative finalizzate alla partecipazione al dibattito giuridi-co, politico e culturale sui temi dell'immigrazione: ad esempio, all'indomani dell'attribuzione legislativa delle competenze sui ricorsi in materia di espulsione ai giudici di pace, Md e Asgi hanno curato un'agile pubblicazione ricognitiva delle principali questioni in materia, pubblica-zione che è stata pi volte ristampata e ha avuto un'ampia diffusione.

Sempre allo scopo di assicurare il maggior coinvolgimento degli operatori e, prima di tut-to, dei magistrati nell'analisi della legislazione e della giurisprudenza sui temi dell'immigrazione, l'impegno di Magistratura democratica ha utilizzato altri canali: Questione Giustizia, che negli ultimi anni dedica costantemente uno spazio ai temi dell'immigrazione; la promozione e la partecipazione a momenti di formazione; la recente realizzazione di una mailing list tematica, che ha superato i 150 iscritti.

Su tutti questi terreni, Magistratura democratica è chiamata a fare di pi e meglio: lo esigono non un astratto richiamo all'identità politica e culturale del gruppo, ma l'urgenza con-creta di fare la nostra parte - la parte di giuristi, magistrati e cittadini - di fronte ai diritti negati dei migranti e, pi in generale, di fronte al rischio di una regressione della giurisdizione verso l'età del gelo costituzionale, quando, come diceva una canzone, «cercavi giustizia e incon-trasti la legge».

Lo sguardo sulla giurisdizione e un ponte verso l'esterno: l'immigrazione e le prospet-tive di Magistratura democratica

La discussione seguita alla dura sconfitta elettorale nelle elezioni per il C.S.M. ha fatto emergere il rischio di una sorta di incomunicabilità tra le "due anime" di Magistratura demo-cratica.

L'esperienza del gruppo di lavoro sull'immigrazione e il contributo che vuole offrire al confronto congressuale  è che le diverse dimensioni dell'iniziativa di Md possono e de-vono necessariamente interagire. Lo sguardo sulla realtà quotidiana della giurisdizione (e, quindi, l'attenzione alle condizioni materiali dell'attività giudiziaria, alla situazione organizzati-va degli uffici e ai suoi profili ordinamentali), la riflessione critica sulla giurisprudenza e sulle prassi, la partecipazione nella sfera pubblica al dibattito sulle politiche del diritto, la capacità di gettare un ponte verso l'esterno, verso la società, verso i soggetti deboli, per adoperare le parole di Pino Borrè, sono tutti tasselli di un mosaico del quale è necessario valorizzare la ricchezza e la complessità e, allo stesso tempo, assicurare l'unitarietà.

Una rivendicazione, nella definizione dei contenuti dell'azione di Magistratura democrati-ca, della centralità dei diritti svincolata da una costante - e, per così dire, strutturata - atten-zione alla giurisprudenza e alle prassi degli uffici (e, dunque, alla loro situazione organizzati-va, ai carichi di lavoro e ai vari aspetti del quotidiano dell'attività giudiziaria) correrebbe il ri-schio di assumere una dimensione declamatoria e, comunque, di smarrire la capacità di inci-dere, in concreto e in profondità, nella risposta giudiziaria. Ma la questione dei diritti - della effettività dei diritti fondamentali, degli strumenti per inverarla, del ruolo e della responsabilità della giurisdizione nel garantirla - deve restare centrale nella elaborazione e nella iniziativa di Magistratura democratica, dentro e fuori la magistratura.

Ed è in questa prospettiva che l'impegno concreto di Magistratura democratica sulle di-verse questioni dell'immigrazione deve essere rilanciato dal congresso di Roma. Diceva Lui-gi Di Liegro: «nulla come la normativa sugli stranieri ci dice in maniera profonda che cosa siamo». Che cosa siamo e, possiamo aggiungere, che cosa stiamo diventando: e que-sto vale per la nostra società, per la fisionomia complessiva dell'ordinamento giuridico, per il ruolo della giurisdizione. E vale anche per Magistratura democratica.

23 01 2007
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