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Editoriale

Sommario

Leggi e istituzioni Sicurezza, microcriminalità e immigrazione (Il pensiero unico alla prova dei fatti e dei giudici ), di Livio Pepino Requiem per uníomologa (líabrogazione del controllo giudiziario preventivo di legalità sulle società di capitali), di Renato Rordorf Brevi considerazioni finanziarie sulla vicenda dei mutui usurari, di Salvatore Bragantini La prescrizione del reato, di Elvio Fassone Le investigazioni difensive: la conclusione di una storia infinita, di Giuliana Priotti Líattuazione dellíart. 68 della Costituzione: vecchi interrogativi e inquietanti novità, di Valentina Sandri

Dibattito
: Presente e futuro del giudice di pace Forum a cura di Marco Bouchard, con contributi di Sergio Chiarloni, Riccardo Conte, Gabriele Longo, Luigi Marini, Franco Petrelli

Prassi e orientamenti
La prevenzione e gli altri (Considerazioni sulle misure di prevenzione patrimoniali a Reggio Calabria), di Vincenzo Giglio

Magistratura e società
Linee di tendenza del Consiglio superiore della magistratura. Appunti per una riflessione di Gianfranco Gilardi La protezione dei dati personali nel processo, di Federico Sorrentino

Osservatorio internazionale
Segnali di Ignazio Juan Patrone La giustizia secondo Haider, di Curd Steinhauer Un imputato senza identità (ma con un profilo desossiribo-nucleico), di Roberta Barberini La carta dei diritti: un passo verso uníEuropa democratica?, di Giovanni Cannella

Giurisprudenza e documenti Diritto penale, processo e sofferenza psichiatrica di Letizio Magliaro Corte appello Milano, sez. I^ penale 14 gennaio 2000 - pres. Corbetta - est. Grisolia - imp. Valerio B II. Trib. Napoli, sez. mis. prev. - 10-25 novembre 1999 pres.Gialanella - est. Lomonte, ric. Luigi C Una giustizia di prossimità per i consumatori? di Carlo Verardi I. Trib. Bologna - 14 giugno 2000 - est. MarulliFlorio c. Sent Lui Studio srl Trib. Bologna - 12 luglio 2000 - est. Acierno - Rago-e e Grimaldi c. Finemiro spa Il giudice difeso dallíavvocato. Riflessioni a margine della sentenza n. 497/2000 della Corte costizionale di Nello Rossi Corte cost. - 13 novembre 2000 - pres. Mirabelli - red. Mezzanotte

Editoriale

Il sistema giustizia è investito da rinnovate polemiche: di carattere pratico, ma anche teorico. Il verbo del nuovo che avanza, esposto, tra gli altri, dal sen. Pera nel congresso di Magistratura democratica del novembre scorso, è, in verità, antico: spoliticizzare il diritto e la scienza giuridica e ridurre l'interpretazione (e il diritto stesso) a pura tecnica.
Già lo scriveva, quasi un secolo fa, Arturo Rocco: O noi ci sbagliamo, o non c'è altro rimedio che questo: rimedio semplicissimo, almeno ad enunciarlo: tenersi fermi, religiosamente e scrupolosamente attaccati allo studio del diritto: del diritto positivo vigente, il solo che l'esperienza ci addita e il solo che possa formare l'oggetto di una scienza giuridica, quale la scienza del diritto penale è, e quale, sbugiardati ormai gli oracoli di una comoda, quanto inesatta, antropologia, essa deve e vuol rimanere.
Il seguito è noto; e non può ignorarlo la cultura giuridica democratica.
Dal diritto alla sua applicazione e ai suoi interpreti il passo è breve.
Cosi la rilettura del sistema giuridico spiana la strada ad un attacco frontale all'esperienza giudiziaria degli ultimi decenni e a chi (Magistratura democratica in primis) ne è stato protagonista.
L'inizio è la delegittimazione del cuore della Costituzione: di quell'art. 3 che, dopo aver affermato l'uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, denuncia lo scarto esistente tra principi e realtà, impegnando la Repubblica (e, dunque, tutte le sue articolazioni istituzionali, tra cui la magistratura) a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del paese.
Tale denuncia viene irrisa: è impossibile - si dice - identificare, in un sistema complesso, i sottoprotetti, la parte debole, i non uguali meritevoli di una tutela particolare tesa a integrarli nella cittadinanza.
Inutile dire che ciò non è casuale. Esclusi dall'ordinamento il concetto stesso di disuguaglianza e l'obbligo di rimuoverla diventa semplice accusare Md (o i giudici progressisti in genere) di perseguire fini esterni alla giurisdizione incompatibili con l'imparzialità e con la lealtà istituzionale.
Semplice, ma falso e caricaturale.
Il secondo passaggio è l'asserita inconciliabilità dell'impegno politico di un gruppo di magistrati con l'imparzialità richiesta alla funzione giudiziaria.
Rilievo suggestivo, ma smentito dalla storia e dalla realtà.
Passione politica e imparzialità nel giudizio non sono antitetiche né incompatibili.
Al contrario, l'imparzialità esige intelligenza (e, dunque, capacità di capire e interpretare i fatti) e trasparenza. Essa è disinteresse personale, estraneità agli interessi in conflitto, distacco dalle parti, non anche indifferenza alle idee e ai valori (che, oltre ad essere impossibile, sarebbe assai pericolosa in chi deve giudicare). Nuoce all'imparzialità la politica intesa come gestione del potere, insieme di legami affaristici, conflitti personali o di gruppo, logiche di contrapposizione tra amici e nemici; non anche la politica intesa come dibattito e confronto delle idee (in particolare sullo Stato e sulla giustizia).
Solo la cultura e l'esperienza della polis assicurano buoni giudici e il rispetto della regola fondamentale del garantismo: assolvere in assenza di prove anche quando l'opinione pubblica vorrebbe la condanna e condannare in presenza di prove anche quando l'opinione pubblica vorrebbe l'assoluzione.
Ad essere contestata è, infine, la politicità dell'interpretazione: si ammette (e come negarlo?) che l'attività interpretativa non è puramente meccanica ma di ciò si dà una lettura riduttiva che finisce per vanificare l'ammissione.
E, invece, l'interpretazione è - non può che essere - scelta tra le opzioni possibili in base al testo della norma e al sistema in cui essa si inserisce. E scegliere significa privilegiare alcuni o altri elementi di valutazione.
Ciò è più evidente quando al giudice è rimessa la determinazione di concetti generici o mutevoli nel tempo (gli esempi scolastici - buon costume, onore, prestigio - possono essere moltiplicati all'infinito), ma è una costante di ogni attività interpretativa, come dimostra il modificarsi degli orientamenti della stessa Cassazione, pur in teoria garante della nomofilachia.
Il fenomeno, poi, acquista dimensioni particolarmente acute in un ordinamento caratterizzato da una produzione legislativa alluvionale e contraddittoria. In questa situazione l'ancoraggio ai principi costituzionali, e tra essi alla norma fondamentale dell'art. 3, lungi dall'essere una forzaturadovere del giudice e fattore di riduzione dell'arbitrio interpretativo.

febbraio 2001

(l.p.)


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