Giudici a Sud - n 2/2007

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Ci sono magistrati, e non solo negli uffici più appariscenti, che si assumono fino in fondo le loro responsabilità e, per adempiere al loro ruolo istituzionale, corrono talora rischi gravissimi.
Altri settori della magistratura hanno invece accettato di convivere con l'esistente, e cioè con un sistema di potere che non intende estirpare la mafia dal suo seno o, quantomeno, contrastarla efficacemente». Con queste parole Magistratura democratica commentava, il 28 ottobre 1991, una impropria iniziativa disciplinare dell'allora ministro della giustizia Martelli. Sedici anni dopo, il nocciolo duro della questione non è cambiato. È rimasto in secondo piano mentre i riflettori si concentravano su alcune indagini eccellenti, poi i riflettori si sono spenti e i problemi sono tornati a galla: non solo in Calabria, ma in Calabria in modo particolarmente acuto. E, con l'emergere dei problemi, sono riemersi i conflitti e le polemiche, dentro e fuori la magistratura. A noi piace ragionare con pacatezza ma senza reticenze. Per questo apriamo le pagine di Giudici a Sud ad alcuni degli interventi che hanno segnato il confronto che si è aperto in Magistratura democratica sulla «questione calabrese», dopo due interviste rilasciate da Betta Cesqui e da Emilio Sirianni e dopo l'iniziativa disciplinare, con richiesta della misura cautelare del trasferimento di ufficio, promossa dal Ministro della giustizia nei confronti di Luigi De Magistris (e del suo Procuratore della Repubblica). Seppur limitati (per mere ragioni di spazio) gli interventi pubblicati rappresentano in modo esauriente le diverse posizioni emerse. Ad essi voglio premettere solo pochi flash.
Primo. Quando la società circostante è malata, le difficoltà della giurisdizione si moltiplicano. È in quelle situazioni, peraltro, che si gioca, per la magistratura, la partita più importante, nella quale i riferimenti fondamentali restano la soggezione alla legge e soltanto alla legge (e dunque la disobbedienza a ciò che legge non è, a cominciare dalle sollecitazioni del palazzo) e il rigoroso rispetto delle regole e delle garanzie di tutti.
Secondo. È regola cardine della democrazia che le condotte dei magistrati siano sottoposte al controllo
della opinione pubblica, dei titolari dell'azione disciplinare, del Consiglio superiore della magistratura: ma quando tali controlli - per il contenuto o per le modalità - si trasformano in interferenze sui processi in corso la democrazia viene ferita.
Terzo. I cambiamenti all'interno dei corpi burocratici non sono mai indolori, ma richiedono
strappi e rotture. Questo è scritto nella storia di Magistratura democratica. Nella attuale polemica,
serrata, a tratti aspra, la divergenza nel gruppo sembra riguardare il profilo della quantità, e non
quello della qualità. Nessuno nega che esistano le due magistrature di cui si parlava all'inizio:
semplicemente ci si divide sulla estensione dell'una e dell'altra e, conseguentemente, sui modi per aggredire
la situazione. Se così è, sarà più agevole una sintesi unitaria, all‘esito del confronto attivato anche su
queste pagine. Noi almeno sentiamo che è per questo che bisogna lavorare.
Rita Sanlorenzo
consigliere Corte appello Torino
segretario nazionale Magistratura democratica

18 02 2008
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