III. Immigrazione e condizione dello straniero: un banco di prova per governo e parlamento

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Il disegno di legge su "Disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero", deliberato dal Consiglio dei ministri il 14 febbraio scorso, ha finalmente iniziato l'iter parlamentare e, nel frattempo, si è ad esso affiancato il parallelo progetto recante "Norme in materia di protezione umanitaria e di diritto di asilo".
Ciò è avvenuto in un contesto che ha conosciuto, in questi mesi, modifiche e tensioni rilevanti, connesse soprattutto con la crisi albanese. La fuga disordinata e incontrollata verso le coste italiane di migliaia di cittadini albanesi è solo in parte una emergenza: essa è anche la parabola dei flussi migratori di questo ultimo scorcio di millennio, delle dinamiche che li determinano e accompagnano, della incomprimibilità che li caratterizza. Eppure il nuovo esodo dall'Albania ha avuto come effetti immediati un decreto legge (n. 60/1997) ancor pi difensivo dell'iniziale progetto governativo e l'organizzazione di un pattugliamento delle coste pugliesi prossimo al blocco navale, con conseguenze tragiche e in aperto contrasto con la raccomandazione dell'Acnur del 13 marzo 1997 tesa ad ottenere che "le persone singole o i gruppi di persone che lasciano l'Albania in cerca di protezione internazionale siano ammessi nel territorio dei paesi limitrofi, che il loro bisogno di protezione venga accertato e che siano autorizzati a rimanere in tali paesi per il tempo necessario in condizioni conformi ai diritti umani e agli standard umanitari di base".
E' quindi necessaria una ripresa del dibattito sui princìpi ispiratori delle politiche in tema di immigrazione e sulla loro traduzione normativa. I disegni di legge governativi vengono, infatti, presentati nelle relative relazioni come espressione di un atteggiamento "positivo, realistico, aperto verso l'immigrazione, alieno da velleità di chiusura e da complessi di timore e di rifiuto", nella consapevolezza, da un lato, che "la spinta migratoria verso l'Italia e verso gli altri paesi pi sviluppati dell'Europa occidentale rispecchia una realtà mondiale segnata da profondi squilibri di crescita e di benessere" e, dall'altro, che "l' immigrazione degli anni '80-'90 in Italia, nonostante sia stata scarsamente regolata, si è rivelata preziosa per il sistema economico nazionale" e tanto pi può continuare ad esserlo in presenza di una adeguata disciplina. Di qui le affermazioni che "il fenomeno migratorio va non vanamente negato nè fatalisticamente subìto, ma contenuto e governato" e che è necessario superare "l'inadeguatezza dello stesso concetto tradizionale di asilo" adottando una disciplina coerente con i principi dell'art. 10 comma 3 Costituzione.
L'articolato proposto nei due disegni risponde, peraltro, solo parzialmente alle finalità proclamate, sia per vizi di impostazione che per imprecisioni tecniche, con il risultato di affiancare a indubbi miglioramenti (in particolare per gli immigrati regolarmente inseriti) profili di peggioramento della disciplina esistente (il cui rischio è amplificato dalle risposte fornite alla emergenza Albania). Nè va dimenticato che i miglioramenti proposti costituiscono perlopi - con l'eccezione del diritto di voto amministrativo - un allineamento alle altre legislazioni europee date le gravi lacune della normativa italiana in settori come la salute, la casa, il diritto allo studio e la stessa carta di soggiorno (non prevista, dal 1990, solo in Italia,Spagna e Lussemburgo).
In questo quadro solo interventi migliorativi coraggiosi e privi di ambiguità potranno dimostrare - aldilà dei pianti d'occasione - che i morti del canale d'Otranto sono stati la conseguenza di un incidente (seppur gravissimo e imperdonabile) e non di una politica. In tale prospettiva ci sembra necessario evidenziare alcuni punti della normativa proposta che richiedono modifiche sostanziali, capaci di coniugare giustizia ed efficacia.
1. Il governo degli ingressi attraverso una politica di flussi programmati può essere politicamente accettabile e in grado di funzionare alla condizione irrinunciabile che i flussi previsti siano quantitativamente significativi.
Ciò esige:
(1a)
la previsione di procedure meno macchinose di quelle indicate nel disegno
governativo;
(1b) la determinazione delle quote senza tener conto degli ingressi per ricongiungimento familiare, per misure di protezione temporanea (quali quelle previste per i profughi albanesi) e per chiamate di lavoro nominative (la cui inclusione, diretta o indiretta, ridurrebbe a limiti trascurabili gli ulteriori ingressi);
(1c)
la differenziazione delle quote per mansioni, qualifiche, settori di attività e per modalità di ingresso (da liste privilegiate, per ricerca lavoro, etc.);
(1d)
la distinzione tra quote per lavoro subordinato, per lavoro stagionale e per lavoro autonomo;
(1e)
l'introduzione di vincoli tassativi in punto tempi di adozione dei decreti determinativi dei flussi.
2. Occorre la previsione espressa di un titolo di ingresso e soggiorno provvisorio per "ricerca lavoro", che integri e razionalizzi il sistema degli sponsor di cui all'art. 21 (che, pur se sostenuto da ragioni apprezzabili, rischia di introdurre evidenti abusi), idoneo a soddisfare, in condizioni di legalità, l'offerta di lavoro proprio in quei settori in cui - come riconosce la relazione al disegno di legge - maggiormente si concentra il lavoro degli immigrati.
3.
Va abolito il requisito per l'ingresso consistente nella "disponibilità di mezzi di sussistenza sufficienti, sia per la durata del soggiorno, sia per il ritorno nel paese di provenienza" (art. 4.3; cfr. anche art. 24.3 con riferimento all'ingresso per lavoro autonomo). Ciò potrebbe avere un senso - in ipotesi - negli ingressi per turismo; negli altri casi significa: o (3a) dare alla autorità di polizia (in particolare di frontiera) un potere discrezionale assoluto e incontrollato;
o (3b) vanificare l'intero sistema e condannarlo al fallimento (essendo evidente che chi viene in Italia per ricerca di lavoro può, forse, dimostrare le proprie capacità professionali ma non certo una ricchezza che non possiede...) 4. La disciplina del diritto di asilo deve dare piena e concreta attuazione all'art. 10 Costituzione. A tal fine è necessario:
(4a)
prevedere la cd "protezione umanitaria" come istituto autonomo e non come semplice ipotesi residuale in caso di richiesta di asilo respinta e di contestuale impossibilità di rimpatrio;
(4b)
abolire la previsione di inammissibilità generalizzate, con conseguente respingimento immediato alla frontiera, per le richieste di asilo presentate da persone condannate per reati di modesta entità (talora addirittura perseguibili a querela).
5.
Il regolare ingresso in Italia (per un titolo non sin ab origine limitato) deve avere come conseguenza il consolidamento di un diritto al soggiorno. Ciò non significa impossibilità di revoca del soggiorno o di espulsione ma:
(5a) indicazione specifica delle condizioni legittimanti tali provvedimenti;
(5b)
non esecutività degli stessi in presenza di impugnazione sino ad intervenuta decisione giudiziaria (per cui possono essere previsti tempi particolari).
6.
Va prevista la possibilità della regolarizzazione in itinere dello straniero che, pur entrato irregolarmente, venga a trovarsi in condizioni (lavorative, familiari, economiche, etc.) che lo consentano. Ciò è escluso in radice dal disegno di legge che pone un muro invalicabile (come espressamente affermato nella relazione) tra regolari e irregolari, con la conseguenza che è assai facile scivolare dalla prima alla seconda condizione mentre è impossibile il percorso inverso. La mancanza di questa valvola di sfogo avrà come sola conseguenza l'aumento della clandestinità dati gli spazi di irregolarità iniziale (pi o meno ampi a seconda del funzionamento o meno delle politiche di flussi) che caratterizzano da sempre e ovunque (ma soprattutto in presenza di legislazioni maggiormente restrittive) i flussi migratori.
7. La carta di soggiorno costituisce in via di principio una innovazione rilevante e di indubbia civiltà. Il suo ottenimento e la sua conservazione
sono peraltro soggetti a limiti tali (reddito e assenza di rinvio a giudizio per taluno dei reati di cui agli artt. 380 e 381 cpp) da vanificarne in gran parte il significato e da renderla strumento di discriminazione in base al censo. Al contrario la carta di soggiorno deve attribuire un diritto di inclusione nella comunità nazionale comportante:
(7a)
la gestione di eventuali problemi o devianze allo stesso modo che per gli italiani (e dunque aldifuori del meccanismo della espulsione);
(7b)
la revocabilità, in considerazione del tempo trascorso e del radica mento sociale intervenuto, solo in presenza di fatti gravi ed accertati (e non certo del rinvio a giudizio per reati di pretura...). Per dare effettività al diritto di inclusione nella comunità nazionale è, inoltre, necessario prevedere un pi ampio intervento degli enti locali supportato da specifiche competenze ed adeguate risorse finanziarie (e non lasciato nell'ambito della facoltatività come avviene negli artt. 37 e 39): solo in questo modo - smettendo di considerare il fenomeno migratorio come problema di ordine pubblico - sarà possibile una realistica prevenzione della devianza e della stessa intolleranza.
8. La individuazione delle "categorie protette", cioè non soggette ad espulsione va rivista: in essa vanno ricompresi, con i correttivi di cui alla normativa internazionale di tutela, tutti i minorenni e non solo gli infrasedicenni (categoria di cui non si comprende la genesi); analogamente occorre includervi chi ha regolare permesso di soggiorno da pi di cinque anni (ancorchè privo di carta di soggiorno), estendere il periodo di puerperio e prevedere situazioni di gravi malattie.
9.
Occorre evitare ogni cedimento a ipotesi di diritto penale speciale dello straniero. Ciò accade, in particolare, con l'art. 6 comma 3, omologo dell'art. 651 cp, rispetto al quale sono previste non solo condotte diverse (comprensibili data la eterogeneità dei sistemi di controllo) ma anche pene ingiustificatamente divaricate (arresto sino a 6 mesi e ammenda sino a L. 800.000, anzichè sino ad 1 mese e a L. 400.000). 10. La disciplina del respingimento e della espulsione è quella che maggiormente si presta a critiche, soprattutto nel suo perdurante equivoco di utilizzare come sostitutivi della (scarsa) efficienza amministrativa strumenti repressivi ed antigarantisti. I punti di necessaria modifica sono, in particolare:
(10a)
l'estensione della possibilità di respingimento anche al periodo successivo all'ingresso nello Stato;
(10b) la previsione della detenzione amministrativa in attesa di espulsione, con il contestuale paradosso della istituzione di "campi di raccolta" mentre continuano a mancare "campi di accoglienza";
(10c) la ineffettività della tutela giurisdizionale contro i provvedimentiespulsivi, insufficiente ed ambigua sia con riferimento agli strumenti di impugnazione che alla forma del procedimento e alle garanzie del contraddittorio;
(10d) la possibilità di espulsione in luogo della detenzione anche in assenza di richiesta dello straniero o del suo difensore (e cioè del requisito necessario ad evitarne l'incostituzionalità secondo l'orientamento espresso dalla Corte cost. nella sentenza n. 62/1994).
Le leggi sulla immigrazione sono per Governo e Parlamento il banco di prova della reale volontà di abbandonare le strade dei puri controlli di polizia e del perseguimento di una illusoria rassicurazione sociale e di sostituirle con strategie dirette alla costruzione di società e città vivibili e democratiche. Per questo il dibattito parlamentare appena iniziato deve essere seguito con attenzione ed accompagnato dalla mobilitazione e dalla
capacità propositiva di tutti i democratici.
giugno 1997 Associazione italiana giuristi democratici
Associazione studi giuridici sull'immigrazione
Magistratura democratica

25 03 2003
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