La tradizionale immagine utilizzata per
descrivere il sovraccarico della funzione giudiziaria è
quella dell’imbuto, per ridurre l’intasamento bisogna
agire sia sulla consistenza del flusso in entrata che rispetto al
flusso in uscita. Non bastano le competenze individuali, per
invertire la tendenza, perché il sistema giudiziario si
caratterizza perché manca la responsabilità ed il
presidio del risultato, e questo prescindere dalla “bravura”
dei singoli protagonisti.
L’idea dell’Ufficio per il
processo” rovescia questa impostazione perché pone una
questione di risultato, anche se dal punto di vista della teoria
organizzativa il riferimento all’”ufficio” è
improprio, perché il termine è burocratico e non dà
l’idea delle competenze orientate nelle unità operative.
Più correttamente bisognerebbe parlare di dipartimento, un
concetto che richiama tutte le competenze professionali necessarie
per portare a casa il risultato e che dispone di due : il principio
di responsabilità e strumentazione tecnologica
L’ancoraggio tecnologico è
importante perché viviamo una vera rivoluzione nel passaggio
dall’informazione che viaggia su carta (dei registri, dei
faldoni) allo strumento telematico, in quanto muta la qualità
della conoscenza e non solo la velocità
Esiste un criterio organizzativo chiaro
per aumentare capacità di lavoro di tutte le organizzazioni
professionali ed anche del giudiziario : il magistrato solipsista si
modifica attraverso il principio di delega e questo si ritrova
negli spunti di BRACCIALINI. Qui si pensa ad una delega formale di
competenze esclusive date ad altre figure; e ad una delega informale
di attività che rimangono sotto la supervisione e la
responsabilità finale del magistrato : non sempre ci vuole il
magistrato per scrivere tutta la sentenza.
Ma delegare a chi? Vi è un primo
polmone di funzioni centrali che solo il personale di cancelleria
che può svolgere all’interno del dipartimento dei
processo.
Sui got non vorrei esprimermi mentre
ritengo necessario che si possa disporre dei giovani tirocinanti :
prevedendo per accedere a tutte le professionisti forensi uno o due
anni di tirocinio dentro un dipartimento, il che ci farebbe avere
professionisti e magistrati più qualificati.
Il processo civile telematico (PCT), per
il quale richiamo il mio recente articolo su “Il Sole 24 Ore”
(n.d.r. : vedi articolo 13.5.04 tra i materiali di consultazione) fa
cambiare tre dimensioni del governo del processo : uno è il
knowledge management in quanto consente accessi diretti immediati che
possono produrre nel tempo una sorta di nomofilachia attraverso le
prassi, data la conoscibilità degli orientamenti
giurisprudenziali (è quindi un elemento di qualità, non
di velocità); consente la conoscenza precisa sui dati fattuali
del lavoro giudiziario ben oltre le odierne statistiche, il che
modifica le relazioni interne tra gli operatori (le tecnologie
portano trasparenza). Si può fare il cd. “court
management” cioè il governo consapevole del risultato, e
questo presuppone che nel dipartimento entrino figure professionali
nuove per studiare ed analizzare queste informazioni.
Il terzo pilastro del PCT è il
case management : è possibile il governo della causa e del
ruolo e sarà possibile programmare le udienze e costruire le
udienze in funzione del tipo di cause.
Naturalmente il dipartimento sta in
piedi se c’è figura centrale che presidia il risultato e
allo stato attuale questa figura non può che essere il
presidente di sezione : occorre perciò un serio investimento
su di essi, tenendo conto che l’attuale meccanismo di selezione
non è corretto perché non si possono valutare
attitudini sperando che creino competenze, e manca un meccanismo
valutativo delle conseguenze : bisogna che anche i presidenti di
sezione e di tribunale facciano le loro “150 ore” per
impadronirsi si conoscenze e competenze organizzative.
Bisogna inoltre migliorare la
programmazione e confronto e scambio di esperienze lavorative tra i
protagonisti del processo : è importante sviluppare il
confronto sulle prassi che trova nel supporto informativo e
tecnologico la sua base per la diffusione a regime. La diffusione
della cultura organizzativa non può avvenire solo per
imitazione ma anche per impulso di chi, responsabile del risultato,
ha interesse alla diffusione delle migliori prassi concertate.
Seminario di Bologna "Ufficio per il processo" - giugno 2004