Il disegno di legge n. 4656 (Modifiche al codice di procedura penale e nuove norme in materia di espulsione dello straniero e benefici penitenziari) approvato nei giorni scorsi dal Senato con il voto favorevole di centro sinistra e Lega è stato presentato come un mini indulto ("indultino" è il termine coniato dai media), quasi un surrogato dei provvedimenti clemenziali, a lungo dibattuti nel corso dell'estate e rimasti poi senza seguito. Così, in realtà, non è. Il disegno di legge dedica, infatti, al mini indulto un'unica disposizione transitoria (l'art. 15, che prevede un'ulteriore riduzione di pena, pari a quindici giorni per ogni semestre scontato a decorrere dal 1 gennaio 1995, per i detenuti che già hanno ottenuto la liberazione anticipata) e contiene, invece, alcuni aggiustamenti in tema di ordinamento penitenziario e profonde modifiche alla disciplina delle espulsioni prevista nel testo unico 25 luglio 1998 n. 286 sull'immigrazione. L'obiettivo di alleggerire il sovraffollamento carcerario non viene abbandonato ma è perseguito in modo a dir poco originale: benefici ridotti per i condannati italiani e apertura delle porte del carcere per gli stranieri detenuti per reati di minor gravità; alla rinfusa ma poco importa - deve aver pensato il legislatore - se tale apertura non è verso la libertà ma verso l'allontanamento coattivo dal territorio italiano" Che quest'ultimo sia l'obiettivo prioritario risulta, poi, dal fatto che la nuova disciplina delle espulsioni riguarda anche gli stranieri imputati a piede libero. Orbene, la criminalità di strada - ch ad essa sembra essenzialmente riferirsi il disegno di legge - esige risposte, anche repressive, adeguate, qualunque sia la provenienza geografica dei suoi protagonisti. Ma sono inaccettabili, ed alla lunga controproducenti, interventi normativi realizzati in violazione di fondamentali princìpi giuridici. E ciò accade ripetutamente nella riforma in esame.
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1. La prima innovazione del disegno di legge (art. 3, modificativo dell'art. 13 comma 3 t.u.) consiste in una drastica semplificazione della procedura di allontanamento degli stranieri destinatari di un provvedimento di espulsione amministrativa sottoposti, a piede libero, a procedimento penale. La disciplina approvata dal Senato prevede in particolare che:
(a) il nulla osta all'espulsione da parte dell'autorità giudiziaria può essere negato solo "in presenza di inderogabili esigenze processuali" e "si intende concesso qualora l'autorità giudiziaria non provveda entro quindici giorni dalla richiesta" del questore;
(b) "in attesa del nulla osta e non oltre cinque giorni dalla sua concessione" il questore può disporre il trattenimento dello straniero presso il pi vicino "centro di permanenza temporanea e assistenza" previsto dall'art. 14 t.u.;
(c) all'espulsione si procede "in ogni caso con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica". Tale disciplina si presta a diversi rilievi:
1a) anzitutto essa sancisce l'abbandono, per gli stranieri destinatari di un provvedimento di espulsione amministrativa, della presunzione di innocenza di cui all'art. 27 co. 2 Costituzione. Solo una presunzione di colpevolezza giustifica, infatti, l'adozione per essi di una procedura di allontanamento diversa (e pi sbrigativa) rispetto a quella prevista per gli stranieri irregolari nella stessa condizione (ma non indagati o imputati). La sottoposizione a processo penale non può essere ragione di privilegio ma neppure, di per s sola, motivo di trattamento deteriore;
1b) l'allontanamento semplificato, inoltre, ha come presupposto la semplice esistenza di un "procedimento" penale per qualsivoglia reato.In altri termini esso viene attivato anche in presenza di una semplice denuncia per contravvenzione, a prescindere da ogni verifica di fondatezza, posto che il nullaosta all'espulsione può essere negato dall'autorità giudiziaria solo in presenza di "inderogabili esigenze processuali". Tanto rigore si ferma, peraltro, di fronte a imputazioni per i reati pi gravi: il richiamo al comma 2 dell'art. 14 bis del testo unico contenuto nel nuovo comma 3 dell'art. 13 esclude, infatti, l'allontanamento semplificato per gli stranieri indagati o imputati dei delitti di cui all'art. 407 co. 2 lett a cpp (e assimilati) ovvero precedentemente espulsi";
1c) l'introduzione dell'istituto del silenzio-assenso per il rilascio del nullaosta è, in concreto, la consacrazione dell'ineffettività del controllo giudiziario: chiunque conosca la vischiosità del processo sa che normalmente nel termine di quindici giorni la richiesta del questore non arriverà neppure sul tavolo del magistrato competente in quello specifico momento;
1d) la nuova disciplina corrisponde ad una visione dell'immigrato in quanto tale come soggetto pericoloso, sempre potenziale autore e mai vittima di reati, una visione che il legislatore recepisce dal corpo sociale, contribuendo, allo stesso tempo, ad alimentarla. Non altrimenti si giustifica la mancata estensione, nonostante le sollecitazioni della dottrina e degli operatori, della norma sul nulla osta all'espulsione da parte dell'autorità giudiziaria allo straniero che abbia assunto la qualità di persona offesa in un procedimento penale, una qualità rispetto alla quale le esigenze processuali (ad esempio, la testimonianza in dibattimento) risultano - anche alla luce dei princìpi introdotti dal nuovo art. 111 Cost. - di enorme rilevanza.
2. L'art. 3 del disegno di legge modifica, inoltre, il comma 13 dello stesso art. 13 t.u. prevedendo come delitto (punibile con la reclusione sino a un anno e con la possibilità di arresto anche fuori della flagranza) il rientro nel territorio dello Stato, prima del termine stabilito dalla legge o dal provvedimento di espulsione, dello straniero espulso. La rilevanza penale del rientro illecito dopo l'espulsione non è una novità, essendo già prevista dall'attuale art. 13 (che lo considera peraltro una semplice contravvenzione), ed ha una evidente razionalità, consistendo la condotta incriminata non nel mero ingresso irregolare ma nell'ingresso in violazione di un divieto specifico e individualizzato. La situazione corrisponde, in qualche modo, a quella del cittadino, allontanato con foglio di via obbligatorio ai sensi dell'art. 2 legge n. 1423/1956, che contravviene al divieto di far rientro nel comune da cui l'allontanamento è stato disposto. Ma è proprio la comparazione con tale situazione ad evidenziare l'ulteriore passo compiuto dal disegno di legge in esame verso un diritto penale speciale (deteriore) per lo straniero: la violazione del cittadino, infatti, è considerata contravvenzione e punita con l'arresto da uno a sei mesi, mentre quella dello straniero è considerata delitto e punita - come detto - con la reclusione sino a un anno. 3. Un'altra innovazione (art. 4, che introduce nel t.u. l'art. 14 bis) riguarda l'espulsione "in caso di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere" (esclusa in presenza dei delitti di cui all'art. 407 co. 2 lett. a cpp ed assimilati e in caso di precedente espulsione). La norma accorpa in realtà sotto un'unica disciplina, in modo del tutto improprio, due ipotesi diverse: quella dello straniero destinatario di provvedimento di espulsione amministrativa che viene incarcerato e quella dello straniero sottoposto alla misura che fa richiesta di espulsione. Mentre la seconda ipotesi (che riprende un istituto già conosciuto nel nostro sistema) non viola princìpi fondamentali e realizza un equilibrio accettabile tra gli interessi in gioco, la prima è censurabile sotto diversi profili.
La disciplina approvata in punto espulsione non consensuale prevede
che:
(a) il giudice, nell'adottare il provvedimento cautelare "ordina immediatamente i necessari accertamenti sull'identità e sulla nazionalità dello straniero";
(b) lo stesso giudice, sentito il pubblico ministero, "dispone che l'espulsione
abbia esecuzione salvo che sussistano inderogabili esigenze
processuali";
(c) l'espulsione è immediatamente comunicata al questore che provvede all'esecuzione con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica;
(d) lo straniero, ove vengano a scadere i termini di custodia cautelare e siano ancora necessari accertamenti sull'identità, è collocato nel pi vicino centro di permanenza temporanea e assistenza. Orbene:
3a) la previsione del dovere del giudice di disporre senza eccezione accertamenti sull'identità e nazionalità dello straniero sottoposto a misura cautelare (comune, in realtà, all'espulsione consensuale e a quella non consensuale) esalta la visione dello straniero in quanto tale come soggetto pericoloso e viola, oltre al comune buon senso, i princìpi costituzionali di eguaglianza e razionalità. Gli accertamenti sono un'ovvia necessità per chi non ha identità certa, ma che senso ha disporli per lo straniero in possesso di regolare passaporto? Non basta dire che in tal caso, probabilmente, il giudice si asterrà dal disporre accertamenti inutili; resta, con effetti anche culturali devastanti, la presunzione normativa di illiceità della condizione dello straniero;
3b) l'espulsione senza consenso è già stata censurata, seppur incidenter
tantum, dalla Corte costituzionale che, nella sentenza n. 62/1994, ha dichiarato infondata una eccezione di legittimità costituzionale dell'art. 7 commi 12 bis e ter dl n. 416/1989 motivando proprio, tra l'altro, sul fatto che l'espulsione prevista da detto articolo era subordinata al consenso dell'imputato o del condannato. Questo il passaggio sul punto della sentenza: "La stessa subordinazione del rilascio del provvedimento di espulsione previsto dalla norma impugnata alla richiesta dell'interessato (o del suo difensore), per quanto atipica, non costituisce un arbitrario elemento di favore nei confronti dello straniero, ma rappresenta, come si deduce anche dai lavori preparatori, un requisito diretto, nella fattispecie, ad armonizzare la condizione dello straniero ai valori costituzionali cui il legislatore deve riferirsi nel prevedere una misura pur sempre incidente sulla libertà personale, cioè su un diritto inviolabile dell'uomo". La necessità del consenso all'allontanamento dello straniero in stato di custodia cautelare in carcere serve, appunto, a rendere la disciplina dell'espulsione conforme al principio di eguaglianza, principio inderogabile in materia di diritti fondamentali dell'uomo e, tra questi, al diritto di difesa: allontanato contro la sua volontà, lo straniero vedrebbe irrimediabilmente compromesso il diritto di difendersi nel processo penale provando l'infondatezza delle accuse a suo carico;
3c) in questa spirale, attenta solo all'esecuzione dell'allontanamento, il Senato ha dimenticato persino di porre un termine alla permanenza dello straniero scarcerato nel centro di permanenza temporanea e assistenza.
Una corretta interpretazione sistematica induce a ritenere che il termine sia quello ordinario di venti giorni, prorogabili a trenta.
Ma è facile prevedere che il silenzio della legge favorirà interpretazioni tese a protrarre indefinitamente tale permanenza (sino all'effettivo allontanamento);
3d) le particolari modalità di esecuzione semplificata e accelerata del decreto di espulsione (soprattutto nel caso di emissione durante la custodia cautelare) vanificano di fatto ogni possibilità di ricorso contro il decreto.
4. Per tutti i casi di espulsione sin qui considerati il disegno di legge
(nuovo art. 14 bis co. 4, richiamato dall'art. 13 co, 3 ul. parte, come modificato) prevede che, "acquisita la prova dell'avvenuta espulsione, il giudice dichiara con sentenza non doversi procedere". Al fine di evitare abusi si prevede, poi, il nuovo esercizio dell'azione penale (ex art. 345 cpp) e il ripristino della custodia cautelare (ove in origine disposta) nel caso di rientro dello straniero nel territorio dello Stato prima di sette anni dall'esecuzione dell'espulsione e la sospensione della prescrizione nel periodo compreso tra l'adozione del provvedimento e la comunicazione all'autorità giudiziaria dell'avvenuto rientro.
La formula di proscioglimento così introdotta, del tutto anomala ed impressionistica (quasi un allargamento della categoria delle condizioni di procedibilità a situazioni create ad hoc dopo la commissione del reato), realizza all'apparenza un trattamento di favore per l'imputato ma non per questo va esente da critiche: 4a) anzitutto essa contrasta con fondamentali princìpi costituzionali: non solo l'obbligatorietà dell'azione penale ma anche il diritto di difesa ch, come già segnalato, a seguito dell'espulsione non consensuale e del proscioglimento per tale causa, lo straniero che intende dimostrare la propria innocenza è posto nella impossibilità di farlo;
4b) in secondo luogo - anche qui con consistenti riflessi sulla legittimità costituzionale - il proscioglimento in esame e l'iter che lo prepara violano il principio di legalità della giurisdizione, svuotato di effettività da un non luogo a procedere imposto dal provvedimento di allontanamento adottato dall'autorità di polizia. Anche sotto questo profilo, se non si vuole ridurre la sentenza a semplice atto amministrativo, occorre quantomeno prevedere il consenso dell'interessato e il potere-dovere del giudice di accertare preliminarmente l'insussistenza di situazioni che impongano il proscioglimento ex art. 129 cpp.
5. Con l'art. 5 del disegno di legge si passa dalle espulsioni amministrative (in verità, come si è visto, sempre pi intrecciate con profili giudiziari) a quelle giudiziarie in senso stretto. L'art. 5, infatti, modifica l'art. 16 del testo unico estendendo la portata dell'espulsione come sanzione sostitutiva della detenzione. In particolare:
(a) il tetto di pena per l'applicabilità della sanzione sostitutiva viene elevato da due a tre anni;
(b) la durata minima dell'espulsione viene portata da cinque a dieci anni;
(c) l'illegittimo rientro nel territorio dello Stato comporta l'esecuzione della pena sostituita ed integra un delitto punibile con la reclusione fino a tre anni. L'attuale art. 16 t.u. è stato, all'atto dell'approvazione della legge Napolitano-Turco, oggetto di critica per la prevista possibilità di applicazione della sanzione sostitutiva dell'espulsione anche in assenza di richiesta o consenso dell'interessato (da cui non può prescindersi, a differenza che per le sanzioni di cui alla legge n. 689/1981, essendo talora l'espulsione pi afflittiva, in concreto, della stessa pena detentiva). N - si è aggiunto - l'obiezione può essere superata con il rilievo che, essendo la sanzione sostitutiva applicabile solo ai destinatari di provvedimento amministrativo di espulsione, quest'ultima seguirebbe comunque all'esecuzione della pena, in quanto la valutazione del favor non può essere paternalisticamente assunta dallo Stato ma deve essere lasciata all'interessato" L'art. 5 del disegno di legge non solo non corregge l'anomalia rilevata ma contiene alcuni
interventi peggiorativi:
5a) la durata minima dell'espulsione viene portata a dieci anni, sancendo così una sorta di divieto sostanzialmente definitivo di rientro in Italia anche nel caso in cui l'espulsione sia applicata come sanzione sostitutiva della pena di cinque giorni di arresto per contravvenzione";
5b) il rientro illecito nel territorio dello Stato ha come conseguenza non solo - com'è ovvio e giusto - l'esecuzione della pena sostituita ma anche la sostituzione del reato ordinariamente previsto per tale fattispecie con un pi grave delitto punibile con la reclusione sino a tre anni.
La disparità di trattamento rispetto ai destinatari delle sanzioni sostitutive ex legge 689/1981 non potrebbe essere pi stridente, laddove per questi ultimi la violazione delle prescrizioni ha come effetto solo il ripristino della parte residua della pena sostituita e l'inapplicabilità (in relazione a tale pena) delle misure alternative dell'affidamento in prova e della semilibertà.
6. Una nuova espulsione giudiziaria è prevista dall'art. 6 del disegno di legge (che introduce nel testo unico l'art. 16 bis), questa volta come pena alternativa, applicabile, da parte del magistrato di sorveglianza, "nei confronti dello straniero detenuto che deve scontare una pena detentiva, anche residua, non superiore a tre anni" (con eccezione delle condanne per delitti di cui all'art. 407 co. 2 lett. a cpp e assimilati o di esistenza di precedente espulsione) nei seguenti casi:
a) esistenza di una espulsione amministrativa in attesa di esecuzione;
b) applicazione della misura di sicurezza dell'espulsione (o previsione della stessa come conseguenza automatica della condanna);
c) richiesta del condannato.
Il nuovo istituto risponde assai pi all'esigenza mediatica della proliferazione delle figure di espulsione (dato costante del trattamento degli stranieri nel nostro Paese) che a bisogni reali. Infatti, una volta prevista l'espulsione amministrativa semplificata per lo straniero sottoposto a procedimento penale, quella connessa con la custodia in carcere e quella costruita come misura sostitutiva, è davvero difficile ipotizzare margini residui di applicazione (soprattutto considerando le ipotesi ostative). Ciò posto restano numerosi rilievi critici, soprattutto sul versante della già ricordata creazione di un diritto penale speciale per lo straniero:
6a) la mancata previsione, come presupposto della misura, della richiesta del condannato (nei casi sub a e b) snatura il carattere di pena alternativa dell'espulsione. Nel nostro ordinamento le misure alternative costituiscono un favor per il condannato e sono applicabili solo a richiesta dello stesso: in via eccezionale l'art. 57 ord. pen. prevede la richiesta dei prossimi congiunti o la proposta del consiglio di disciplina del carcere (all'esito di un programma di trattamento); ma mai è stato ipotizzato che - come nel caso di specie - la richiesta possa provenire dal pubblico ministero";
6b) la esecuzione automatica e immediata dell'espulsione disposta come misura di sicurezza snatura, a sua volta, il sistema delle misure anzidette, la cui applicazione in concreto è subordinata, dopo i ripetuti interventi della Corte costituzionale a cominciare dalla sent. n. 110/1974, all'accertamento, da parte del magistrato di sorveglianza, del persistere della pericolosità sociale;
6c) il rientro illecito nel territorio dello Stato ha, come nel caso esaminato sub 5.b, conseguenze aggiuntive deteriori e ingiustificate rispetto a quelle previste per la violazione delle misure alternative ordinarie, a cominciare all'integrazione di un delitto ad hoc punibile con la reclusione sino a tre anni.
7. L'art. 8 (che introduce nel t.u. l'art. 16 quater) conferisce valenza generale a disposizioni specifiche prevedendo che, all'atto dell'ingresso in carcere di uno straniero, "l'amministrazione penitenziaria comunica al prefetto del luogo di detenzione ogni informazione utile ai fini dell'accertamento sull'identità" e della eventuale adozione di provvedimenti di espulsione, con conseguente obbligo per il prefetto di "immediati accertamenti" e "provvedimenti conseguenti". Neppure come clausola di stile è previsto che comunicazioni e accertamenti siano effettuati "ove necessario" o "in caso di incertezza sull'identità". Ciò è definitiva conferma della configurazione dello straniero come soggetto pericoloso tout court. Ancora una volta, non basta dire che se lo stesso è già identificato non saranno disposti ulteriori accertamenti: il fatto (grave e culturalmente indicativo) è che la legge lo richiede, pur in una situazione in cui il 90% degli stranieri presenti sul territorio dello Stato hanno comprovata identità e regolare permesso di soggiorno. E' questo l'humus che, se non adeguatamente contrastato, porterà alla previsione di un obbligo di rilevazione delle impronte digitali per tutti gli stranieri extracomunitari all'atto dell'ingresso nello Stato.
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La normativa descritta, se definitivamente approvata dal Parlamento, completerà il disegno di un diritto speciale per gli stranieri fondato su un trattamento deteriore rispetto ai cittadini e sulla amministrativizzazione dei diritti fondamentali che già trova nei centri di permanenza temporanea e assistenza introdotti dalla legge Napolitano-Turco la sua pi allarmante espressione. Così come l'inserimento nei centri fa leva su una dimensione non penalistica per eludere le garanzie sostanziali e processuali dell'ordinamento penale, la nuova disciplina dell'espulsione garantirà una sorta di automatismo tra provvedimento amministrativo e pronunce giudiziarie, restituendo alla giurisdizione l'antico ruolo di passacarte dell'autorità di polizia. Una riedizione, insomma, della contrapposizione liberalottocentesca tra un sistema penale ispirato ai princìpi del garantismo per i galantuomini e un diritto speciale di polizia per le classi pericolose. Respingere questa impostazione non significa sottovalutare le esigenze di tutela della collettività e la necessità di restituire sicurezza ai cittadini. Lo abbiamo ribadito pi volte: il sistema delle espulsioni è uno degli strumenti per affrontare le patologie dell'immigrazione, ma esso può essere utile solo se ancorato a princìpi di razionalità e di equità. In concreto ciò significa contenere, anzich estendere, le ipotesi di espulsione, limitandole alle violazioni amministrative insanabili e protratte ed alla commissione di reati di gravità medio-alta: in questi casi l'impegno degli apparati per dare effetti-vità alle espulsioni deve essere affinato e incrementato; nelle altre ipotesi è necessario, invece, un governo duttile della situazione con previsione di possibilità di sanatoria.
Per questo auspichiamo che la Camera neghi l'approvazione al testo li-cenziato dal Senato ed apra sul punto un dibattito approfondito. Se altri punti del disegno di legge sono maturi per l'approvazione, la via dello stralcio è preferibile al trascinamento con essi di disposizioni inutili e inac-cettabili.
Ad essere in discussione - è bene ricordarlo - sono i pi antichi e classici diritti di libertà della persona: l'attacco è, oggi, alla condizione giuridica degli immigrati, ma l'involuzione della vita democratica derivan-te dallo svilimento dei valori costituzionali riguarda tutti.
10 novembre 2000
Magistratura democratica
Associazione studi giuridici sull'immigrazione