Sommario
Editoriale: Riforma o normalizzazione della magistratura?
Leggi e istituzioni
Stato di diritto e ragion di Stato: il caso Abu Omar e la
Consulta, di Vittorio Fanchiotti
Obbligatorietà dell'azione penale, slogans e luoghi comuni, di Giovanni Diotallevi
La desertificazione degli uffici di procura: un disastro
annunciato, di Fiorella Pilato
Come contrastare l'abuso del processo? Brevi spunti sugli
articoli 96 e 385 del codice di procedura civile, di Marco
Maffuccini
Obiettivo. Presenza e attività dei magistrati italiani
in sedi internazionali
Introduzione. Una presenza necessaria, una potenzialità
non ancora sfruttata, di Luigi Marini
Tre anni presso la corte internazionalizzata di Timor Est,
di Francesco Florit
L'esperienza di giudice alla State Court di Sarajevo, di
Pietro Spera
Istituzioni giudiziarie e magistrati italiani nel processo di
allargamento dell'Unione europea, di Luca Perilli
La magistratura italiana e il futuro della comunità internazionale, di Rosario Salvatore Aitala
L'attività di consulenza di magistrati italiani nei Balcani, di Pasquale Profiti
I progetti europei di gemellaggio (twinning) e l'esperienza albanese, di Eugenio Turco
Associazionismo giudiziario, diritti umani e dimensione internazionale,di Franco Ippolito
Magistratura e società
Formazione e pari opportunità in magistratura, di Maria
Elena Gamberini
Osservatorio internazionale
Esiste un modello europeo di Consiglio della magistratura?, di Mauro Volpi
L'intervento del potere giudiziario in Cile durante e dopo il golpe militare del 1973, di Juan Guzmán Tapia
Recensioni
Un commentario per la Carta dei diritti dell'Unione europea, di Elena Paciotti
Giurisprudenza e documenti
1. La disciplina della procreazione medicalmente assistita
e la Costituzione (Rita Sanlorenzo)
Corte costituzionale, sentenza n. 151, 8 maggio 2009,
pres. Amirante, red. Finocchiaro
2. Il favoreggiamento dell'emigrazione clandestina e la
Corte costituzionale (Marco Gambardella) Corte costituzionale, sentenza n. 21, 30 gennaio 2009,
pres. Flick, red. Saulle
3. Intercettazioni: un sacrosanto richiamo alla legalità e
sciagurati propositi di riforma (Glauco Giostra)
Cass. - sez. VI, 12 febbraio 2009, n. 12722, pres. De
Roberto, est. Ippolito, ric. Proc. Rep. Roma, in proc.
contro Lombardi + 5
4. Mozione conclusiva del XVII Congresso di Magistratura
democratica
Editoriale
Riforma o normalizzazione della magistratura?
Mentre i codici penali (sostanziale e processuale) e il sistema delle intercettazioni sono improvvidamente modificati a colpi di voti di fiducia, si torna a parlare di riforme della magistratura (costituzionali e non).
Per favorirle, intanto, si aggrediscono i presìdi che, negli ultimi decenni, hanno contribuito - miracolo italiano - a conferire al sistema giudiziario valenze spiccatamente democratiche: l'esercizio diffuso dell'azione penale e il governo autonomo della magistratura. Non saremo noi a negarlo: le ragioni di critica, anche in questi settori, esistono e sono talora assai gravi. Ci sono stati - ci sono - nella attività di alcune procure eccessi e disinvolture che questa Rivista non ha mancato di segnalare e stigmatizzare; e ci sono, anche nel Consiglio superiore e nelle articolazioni dell'autogoverno della magistratura, opacit e derive clientelari e corporative. Ma il dato politico emergente, anche in ambienti progressisti, è l'uso strumentale di tali debolezze: non per introdurre correttivi utili a razionalizzare il sistema ma per minare e sovvertire il modello di magistratura che, almeno negli ultimi decenni, ha prodotto significativi cambiamenti della giurisdizione in senso egualitario e un proficuo pluralismo giudiziario (assolutamente necessario in un periodo di profonde trasformazioni).
Il primo punto di attacco per "voltar pagina" è l'assetto degli uffici del pubblico ministero, che molti - con proposte dislocate sia sul piano ordinamentale che su quello processuale - vorrebbero riportare alla organizzazione gerarchica e piramidale precostituzionale, magari restituendo ai procuratori generali l'antico ruolo di «mandarini dell'azione penale».
Si tratta di una impostazione non necessitata dalle modifiche ordinamentali introdotte con il decreto legislativo n. 106/2006 le quali - seppur ispirate, almeno in alcuni dei proponenti, da evidente spirito revanchista - hanno prodotto un esito normativo che non consente scostamenti dall'assetto del pubblico ministero voluto dalla Costituzione. A dirlo è finanche l'allora Procuratore generale della Cassazione, Delli Priscoli, nella relazione svolta nel gennaio 2007 alla prima inaugurazione dell'anno giudiziario successiva alla riforma ordinamentale: «È necessario rielaborare e interpretare le norme in materia (...) al fine di darne una lettura conforme al dettato costituzionale. Ritengo che i poteri del capo dell'ufficio di procura vadano letti in termini di responsabilità, piuttosto che di gerarchia.
La modifica apportata dalla legge n. 269 del 2006 ha lasciato al procuratore capo la titolarità dell'azione penale, mentre ha eliminato la sua responsabilità esclusiva. (...) Il punto è (...) come coniugare la responsabilità e il potere direttivo del procuratore capo con l'indipendenza e l'autonomia dei sostituti. (...) Il potere del procuratore capo di intervenire in relazione a singoli processi esiste proprio in funzione del suo dovere di assicurare il rispetto di tali parametri (di uniformità, razionalità, efficienza e correttezza, ndR) ma deve essere esercitato in modo tale da consentire una piena trasparenza di modi e di fini, e quindi con motivazioniadeguate e controllabili». E, ancora, «solo dall'interazione tra l'Organo di autogoverno e di rappresentanza della magistratura e i capi degli uffici (...) può discendere la garanzia che tale funzione si volga al miglior perseguimento degli interessi della giustizia e al miglior soddisfacimento dei bisogni di giustizia dei cittadini».
Soluzione equilibrata e razionalizzatrice, dunque. Eppure il perseguimento di questo obiettivo - sia con risoluzioni generali sia con risposte a specifici quesiti provenienti da uffici "caldi" (da Napoli a Genova) - sta esponendo il Consiglio superiore della magistratura a una rinnovata offensiva tesa a modificarne caratteristiche e ruolo. Anche questo è un deja vu. Le manifestazioni di diffidenza e disaffezione nei confronti del Consiglio - lo abbiamo detto e scritto più volte - sono risalenti: caso forse unico nella nostra storia, le proposte di modifica in punto presidenza e composizione del Consiglio sono iniziate prima ancora della sua concreta istituzione e merita aggiungere che la paternità di idee oggi riproposte con il sapore del nuovo - a cominciare dalla sottrazione al Consiglio della competenza disciplinare e dalla sostituzione, per i componenti magistrati, del metodo elettivo con il sorteggio (sic!) - risale addirittura all'on. Almirante (proposta di legge costituzionale n. 3568/1971 Camera). Eppure, pur con inadeguatezze e cadute corporative, questo Consiglio superiore - preso a modello in mezza Europa, come ci ricorda Mauro Volpi nel saggio pubblicato in questo fascicolo - ha costituito il punto di riferimento della magistratura italiana nei momenti più difficili della sua storia recente: terrorismo, mafia, corruzione. Sarebbe bene non dimenticarlo...