Sommario
Presentazione
Indice delle annate
Indice analitico
Indice degli autori
Editoriale
Ventotto anni in 320 pagine. 128 sommari, 235 voci di indice analitico, 777 autori. Sono i numeri (alcuni numeri) di una storia lunga e affascinante. La storia di questa Rivista e, in qualche misura, di Magistratura democratica. Predisporre gli indici - delle annate, analitico e degli autori - di oltre un quarto di secolo di pubblicazioni è stata una impresa complessa e impegnativa, soprattutto (come è agevole comprendere) per quanto riguarda l'indice analitico. Ma ne valeva la pena. L'esito, infatti, è non già un'arida serie di numeri e di nomi ma un vero e proprio profilo storico della nostra vicenda, che merita - non solo per ragioni di spazio - un fascicolo. Di questa vicenda gli indici ci dicono assai più di quanto si potrebbe credere. Un unico esempio.
Ci sono, nel primo e nell'ultimo fascicolo di questo scorcio di tempo, singolari analogie tra i temi affrontati. Due su tutti: le condizioni dei detenuti, a cui sono dedicati, nel n. 1/1982, l'articolo Carceri: riflessioni sulla possibilità della riforma fra le esigenze di sicurezza e quelle di progresso di A. Margara, e, nel n. 5/2009, l'obiettivo Carcere, diritti, giurisdizione; e poi il governo della magistratura su cui si diffonde, nel n. 1/1982, lo scritto Consiglio superiore della magistratura: bilancio di un'esperienza di M. Ramat, e, nel n. 5/2009, il mio «Non sognavo il Consiglio». Note sparse su magistrati, autogoverno, rappresentanza. Chi avrà modo e voglia di leggere questi scritti misurerà la distanza e, insieme, gli elementi comuni - assolutamente prevalenti - che li caratterizzano. E misurerà, soprattutto, la continuità di un impegno rimasto coerente lungo 28 anni nei quali pure, secondo i più, tutto sembra cambiato.
* * * * *
Il primo fascicolo della Rivista si apriva con una presentazione che ebbi la ventura di scrivere insieme a Pino Borrè e che appare, oggi, di impressionante attualità. Può essere utile riportarne un ampio stralcio, non essendo quell'antico volume nella disponibilità di tutti.
«L'apparire di questa nuova rivista, promossa da Magistratura democratica, rappresenta la continuità dell'impegno di un gruppo di magistrati nell'ambito della cultura giuridica e della politica giudiziaria: impegno già espresso, negli anni '70, da testate come Qualegiustizia (ed. La Nuova Italia) e Magistratura Democratica (ed. Dedalo). Il nascere della nuova rivista, al posto delle due precedenti, risponde a un'esigenza di concentrazione dello sforzo organizzativo, ma anche alla riconosciuta opportunità di riunire in un unico strumento le caratteristiche delle precedenti testate: quella di osservatorio sulla giurisprudenza, che costituì il maggior merito di Quale giustizia, e quella di momento di riflessione teorica, che fu propria della rivista consorella. Pur nel riconoscimento della sua ideale derivazione dalle precedenti testate, Questione giustizia presenterà tuttavia, necessariamente, elementi di novità, ciò essendo imposto dal mutamento stesso dei tempi. Le precedenti riviste, collocandosi in una cultura di abbattimento di vecchie e ben identificate ideologie, e coincidendo con la stagione delle riforme, avevano un compito più facile, si inquadravano in una strategia più agevolmente disegnabile. La nuova rivista nasce, invece, nella stagione del riflusso, ha di fronte a sé un'inversione di tendenza legislativa propiziata dal
terrorismo e dalla crisi economica, e soprattutto deve fare i conti con emergenti prospettive di riforma istituzionale, la cui novità e ambiguità richiede un aggiornamento delle strategie di risposta. Il compito della nuova rivista è dunque più complesso e di ciò si è voluto dare un segnale anche attraverso il nome che le è stato attribuito: meno vivace, meno argutamente provocatorio di Quale giustizia, esso vuol rappresentare un livello di accresciuta problematicità ed esprimere l'idea di una "questione aperta", che deve essere, anzitutto, chiaramente decifrata nella complessità e nella novità dei suoi termini. Qualche esempio può dare la misura della gravità dei problemi che si propongono e delle contraddizioni con cui occorrerà cimentarsi. I recenti attacchi all'indipendenza della magistratura requirente, a parte la loro strumentalità costituiscono un evidente tentativo di vanificare il principio costituzionale dell'obbligatorietà dell'azione penale, ma ciò non esclude la necessità di domandarsi se dinamiche negative nella professionalità degli organi di accusa non siano state avviate e consolidate dalla costrizione della magistratura a una supplenza sempre più intensa, da sistemi burocratici di gestione degli uffici e dalla legislazione dell'emergenza di questi ultimi anni; d'altra parte, se la riforma del processo penale in senso accusatorio è tramite per l'attuazione di un processo più garantito, occorre anche chiedersi se proprio nel principio della parità delle armi e nella correlativa concezione del pubblico ministero come parte non si annidi la prospettiva di una riduzione della sua indipendenza.
Questioni aperte, dunque, e non facili. Necessità di tener conto di tutte le possibili interdipendenze, che i problemi presentano, senza aprioristiche preclusioni di indagine. Ma necessità, anche, di non perdere di vista e di professare esplicitamente, fin da questa presentazione, la scelta di fondo che anima la rivista e che si articola in tre punti: l'individuazione del principio di emancipazione e di effettiva eguaglianza fissato dall'art. 3, secondo comma, della Costituzione come parametro fondamentale di riferimento per gli orientamenti legislativi e giurisprudenziali; l'affermazione dell'indipendenza della magistratura come insostituibile strumento di controllo diffuso della legalità; l'esigenza di un processo garantito, che assicuri il rispetto dei valori della persona. Si tratta, del resto, di precise indicazioni costituzionali, che confluiscono in un armonico disegno di democrazia: perché solo un processo gestito nell'indipendenza, e corredato di forti garanzie, è luogo di razionalità; e solo la razionalità, alla lunga, assicura al processo la possibilità di funzionare realmente anche come mezzo di difesa sociale. La nuova rivista nasce perciò segnata da un'impegnativa scelta di valori, ma, al tempo stesso, consapevole, sul piano del metodo, che non v'è soluzione che possa esser sottratta al dibattito, che non v'è ipotesi che non debba essere vagliata da angolazioni e attraverso contributi diversi; consapevole, insomma, che anche le certezze di fondo non possono essere soltanto celebrate, ma vanno vissute e via via riscoperte attraverso i problemi concreti e il confronto delle idee. E proprio per questo la rivista è aperta a quanti - anche estranei a Magistratura democratica - si riconoscono in tale esigenza di discussione e di approfondimento ».
Problemi e progetti - come si vede - tanto risalenti quanto attuali!
* * * * *
C'è un altro passo che mi piace richiamare, risalente a 14 anni dopo (e dunque alla metà del nostro percorso). Era il febbraio 1996 ed era in corso a Napoli l'XI congresso di Magistratura democratica. Borrè scelse di parlare (anche) di Questione giustizia e quell'intervento - anch'esso attualissimo - venne pubblicato (postumo) nel n. 2/1997. «Da tanto tempo parliamo del processo e delle sue garanzie, che costituiscono il lato formale del fenomeno giuridico, e finiamo per perdere un po' di vista i contenuti degli interessi materiali, il crogiolo degli interessi materiali. Questi devono magari rilevare meno nel processo penale - dove soprattutto vengono in evidenza dei valori limite, di limitazione e di garanzia - ma sono viceversa importantissimi nell'ambito del processo civile, a sua volta - come si sa - un po' dimenticato. (...) Andiamo (dunque) a questi problemi, al crogiolo degli interessi materiali. Questa opera culturale più difficile dobbiamo saperla compiere. Parlo soprattutto e anzitutto per me, come direttore della Rivista: è una cultura più difficile, più aspra, ma io credo che MD debba affrontare questa prova. Credo che MD sia attesa da una grossa funzione di intellettuale collettivo da svolgere in questo difficile momento nel quale - vorrei dire - la bugia è la regola, dove l'approssimazione è il modo normale di vita, dove l'apparire conta più dell'essere, dove il tatticismo politico si coniuga - credo - con la non simulata ma reale ignoranza e dove si parla di un'assemblea costituente come se fosse ordinaria amministrazione, oppure di importazione di sistemi costituzionali stranieri come se si trattasse di importazione di grano alla rinfusa o di pelli secche. Credo che in questo difficile, rozzo e brutto momento spetti a Magistratura democratica con la sua stampa, con le sue iniziative, con il suo lavoro di intellettuale collettivo una funzione di chiarimento e - se vogliamo dire la parola - di orientamento: forse dire dell'opinione pubblica è dire troppo, ma perlomeno del nostro ceto professionale e di quelli contigui, degli avvocati e degli operatori di giustizia. Sarà anche questo un modo per recuperare quella che Gianni Gilardi, con una frase che mi è piaciuta moltissimo, ha chiamato ieri nel suo intervento l'ampiezza del respiro democratico insita nel principio di legalità"».
* * * * *
Decine di sollecitazioni come queste scoprirà il lettore attento di questi indici, nei quali si ritrovano, con riferimento a molte voci (penso a Consiglio superiore della magistratura, a Giustizia civile, a Ordinamento giudiziario, a Mafie e criminalità organizzata, a Processo
penale, a Prova e a molte altre ancora) alcuni dei contributi più rilevanti prodotti, nel settore, dalla cultura giuridica. Gli indici aiutano questa riscoperta e danno il senso di un percorso. Un percorso lungo e accidentato, al termine del quale siamo ancora qui, motivati quanto e più di 28 anni fa. Questi indici servono anche per dirlo... Nel licenziarli, un ringraziamento particolare va al curatore, che li ha predisposti con attenzione e intelligenza (spingendosi fino a ritrovare e segnalare, nell'indice analitico, anche documenti che, a suo tempo, non erano stati riportati nei sommari dei singoli fascicoli).