Principio accusatorio, impugnazioni, ragionevole durata del processo:
una riforma necessaria
Sasso Marconi, 12-13 dicembre 2003
Piccole riflessioni per il seminario sulle impugnazioni.
contributo di Stefano Celli
Faccio alcune considerazioni e proposte, cominciando da quelle che, per la percorribilità e per il minore impatto, sembrano pi agevolmente praticabili.
Di seguito le proposte "stellari".
Preciso che gran parte di queste riflessioni, che ho nel cassetto da tempo, prescindono dall'ottimo lavoro di preparazione di Claudio Nunziata, perch precedenti allo stesso.
E' stato per me di grande conforto vedere che in alcuni punti le proposte si toccavano.
1. E' ormai universalmente riconosciuto che, per i reati contravvenzionali, ma anche per molti delitti, la difesa punta risolutamente alla prescrizione. E ciò sia in caso di conclamata colpevolezza, sia in caso di posizioni comunque incerte. Ciò accade anche con mezzi non proprio ortodossi (la difesa "dal" processo - espressione di gran moda), ma pure con strumenti che difficilmente, allo stato attuale, ci si sentirebbe di criticare.
2. In questo quadro appare fondamentale la riforma dell'istituto della prescrizione, stabilendo o la sospensione per tutta la durata del processo o, meglio ancora, l'abolizione del limite massimo previsto dall'ultimo periodo dell'articolo 160 c.p.. Si può agevolmente intuire l'effetto benefico di tale riforma.
3. Limitazione delle possibili pronunce dell'appello, con esclusione della possibilità, per il giudice, di modificare (in meglio o in peggio), il singolo capo di sentenza, che potrà essere solo confermato o riformato (nel senso di capovolto). Sarebbe esclusa la possibilità di concedere o negare attenuanti o aggravanti negate o riconosciute in primo grado. Ciò escluderà, verosimilmente, molti (non tutti) appelli volti a ottenere, semplicemente, una condanna a sette piuttosto che a otto mesi a pena sospesa (o anche da eseguire).
4. Ulteriore passo avanti: strutturazione del giudizio di appello come giudizio esclusivamente rescindente. Non ha alcun senso, a mio avviso, la rivisitazione "scritta" di un processo di norma orale. Faccio solo alcuni accenni: un testimone depone con molte incertezze, alcuni "rossori", tentennamenti, aperti silenzi. E' vero che il giudice può dare conto di tali circostanze, ma le stesse possono essere non verificabili. E così, se il giudice riferisce fatti veri, non c'è riscontro (e dire che quanto contenuto in sentenza, atto pubblico, sono affermazioni fidefacienti mi pare un artificio); se riferisce fatti non veri (perch si è sbagliato), non c'è tutela per l'imputato. Non limiterei però l'appello alle sole norme procedurali, ma anche alle sostanziali, fermo restando che in caso di errore (rilevante) nell'interpretazione di una norma sostanziale (la tal condotta astratta integra quel reato), il giudice d'appello annulla la sentenza e rinvia al primo giudice.
5. Sembra un controsenso che l'appello, giudizio che "vale" di pi, è di stampo sostanzialmente scritto, ove il giudice non ha alcun contatto con "le prove" mentre esse si formano, mentre il primo grado, ove veramente si valutano le prove, conta meno dell'appello. Sembra un paradosso, ma il giudice che emette la sentenza di primo grado non può essere colui che, chiamato a sostituire un collega trasferito, sia intervenuto solo in sede di discussione (le parti possono ottenere la rinnovazione del processo), mentre il giudice di appello, che non partecipa neppure a quella fase, emette sentenza che sostituisce la prima e, soprattutto, prevale su questa.
6. Faccio mie le considerazioni sul fatto che l'appello (nel merito) è la tipica espressione di un rito inquisitorio e, peraltro, è pienamente coerente con esso.
7. Proprio da ciò introdurrei una distinzione in caso di procedimento definito con rito abbreviato "secco" rispetto a quello che esita in un dibattimento: per il primo sembra coerente un appello "tradizionale", in caso di appello da processo definito in dibattimento, il giudizio sarebbe solo di conferma o annullamento.
8. Nel caso di appello da abbreviato, proprio tale giudizio pieno, spingendosi oltre, sarebbe il "beneficio" del rito, che assorbirebbe la diminuzione di pena. Probabilmente sarebbe opportuna una fase di verifica, per evitare che di fronte alla possibilità di far valere sia il doppio grado, sia lo sconto di pena, nessuno si rivolgerebbe pi al processo in dibattimento (salvo i contumaci irreperibili, cui comunque il dibattimento non serve perch non possono far conoscere al difensore la linea difensiva).
9. Dunque in caso di appello da rito abbreviato, si tratterebbe dello stesso appello come oggi strutturato, con possibilità di riforma nel merito diretta; un vero e proprio "gravame" a cognizione piena ed esito senza limitazioni (salvo divieto di reformatio in pejus, se appella il solo imputato).
10. In caso invece di appello da dibattimento, l'appello sarebbe limitato nel senso di cui sopra e si potrebbe strutturare come udienza in camera di consiglio, con avviso ai soli difensori (e pm) in cui possono prendere la parola solo i soggetti avvisati.
11. Ciò da un lato costituirebbe incentivo all'abbreviato (anche senza diminuzione di pena), dall'altro disegnerebbe un sistema coerente. Giudizio sulle carte, pi rapido in primo grado, omogeneo in secondo grado. In caso di giudizio dibattimentale, invece, non avrebbe senso ripetere un giudizio sulle carte per i motivi già detti.
12. Qualche ulteriore problema si pone per gli abbreviati "condizionati", specie se "pesanti": è noto che alcuni abbreviati rischiamo di diventare dei dibattimenti senza testimoni del pm, e francamente sembra che tali scelte non siano fedeli n alla lettera n allo spirito della norma.
13. Comunque le opzioni sembrano due. O si privilegia il fatto che si tratta comunque di rito "abbreviato" e allora l'appello sarà a cognizione piena. O si privilegia la coerenza con il sistema, e allora deve prevalere il fatto che si assume una prova, e dunque, sia pure limitato, siamo di fronte a un dibattimento vero e proprio: se si pensa che le prove da assumere dovrebbero essere tendenzialmente decisive, ciò dovrebbe bastare a far ritenere irripetibile la valutazione nel merito da parte del GUP. Questo, naturalmente, sempre che le prove assunte non siano esclusivamente "documentali", nel qual caso si tratterebbe di valutazione di carte, tal quale in un abbreviato "secco". Lo stesso nel caso in cui le prove aggiunte siano frutto di attività orale "difensiva", consacrata poi in documentazione come previsto dagli articoli 391 bis e seguenti c.p.p.: in questo caso il GUP valuta sempre e solo "il fascicolo", e la disciplina deve essere la medesima del rito abbreviato non condizionato.
14. Mi sembra pi coerente equiparare le sentenze rese a seguito di abbreviato condizionato a quelle rese in dibattimento. Non mi sfugge che in questo modo diminuirebbero le scelte di abbreviato condizionato, ma forse è anche vero che un istituto del genere, nel quadro disegnato sopra, non ha pi un gran senso, perch ampi spazi e tempi verrebbero recuperati già.
15. Ulteriore problema in caso di abbreviato "secco" in cui ulteriori prove "orali" siano disposte e acquisite d'ufficio dal Giudice, ai sensi dell'articolo 441.5 c.p.p.. Astrattamente la situazione è la stessa dell'abbreviato condizionato, ma è evidente che non si può privare l'imputato delle facoltà connesse all'abbreviato per via di una scelta del giudicante. Di conseguenza sembra inevitabile consentire l'appello "pieno" (pi macchinoso è riconoscere il diritto al ripensamento, come in caso di contestazione suppletiva).
16. In aggiunta si potrebbe prevedere, in caso di appello da dibattimento, la limitazione alle sole ragioni di "forma", e non di merito, cioè consentendo l'appello solo per ragioni di procedura, ivi compreso la violazione del dovere di motivare, nel senso di prevedere come motivo di appello la sola mancanza di motivazione e non anche la motivazione illogica e/o contraddittoria.
17. Sono decisamente contrario all'abolizione dell'appello per il PM. E' vero che ciò accade raramente, ma proprio per questo non vedo l'utilità di abolirlo: non ne beneficerebbe l'economia del sistema e si perderebbe uno strumento importante per porre rimedio ad alcuni errori che, a volte, sono veramente grossolani (anche a tutela dell'imputato, magari difeso d'ufficio).
Vi sottopongo dunque queste brevi riflesisoni, concludendo però con una domanda, che parte dal presupposto che se queste idee venissero mai trasfuse in legge saremmo di fronte a una svolta "epocale". Siamo sicuri di essere pronti e che la magistratura tutta sia pronta a questa "svolta"?
Rimini, 9 dicembre 2003
Stefano Celli
(PM a Pesaro)