Gli interventi che abbiamo ascoltato fino ad ora sono stati di grande respiro, legati da un filo che li attraversa tutti: il radicamento di MD nella società; la magistratura e la giurisdizione come uno dei luoghi fondamentali della democrazia; la Costituzione come nostro riferimento nelle grandi scelte e in quelle quotidiane; la dimensione sovranazionale dei diritti e del diritto.
Cosa lega quegli interventi alla nomina del Procuratore di Foggia o del referente della formazione di Genova?
Nessun legame, se ascoltiamo quanto detto in questa sede dai colleghi Schirò e Matera, che hanno concentrato l'attenzione sulle recenti polemiche in tema di nomine e sulle statistiche delle decisioni consiliari: statistiche che rappresentano solo un fastidio da ridimensionare. Quell'attenzione e quel fastidio sono perfettamente comprensibili se consideriamo che il loro ragionamento si articola esclusivamente attorno alle aspettative dei candidati, rigorosamente distinte per colore e casacca. Il loro orizzonte si ferma là, e dieci capi ufficio in pi costituiscono dieci bandierine da collocare su dieci caselle, cui possiamo ritenere corrisponda un certo numero di elettori. In questo orizzonte non c'è posto per i 100-200-500 mila cittadini di quelle città che aspettano risposte positive dalla giustizia e che per questo chiedono che i capi degli uffici siano selezionati in base alle qualità ed alle capacità.
E parlando dell'attività consiliare lasciatemi dire un'altra cosa.
Molto si è parlato dell'esigenza di ricercare l'UNITA' all'interno del C.S.M. Personalmente non credo che l'unità costituisca un valore in s, capace di produrre comunque effetti positivi. Essa rappresenta un elemento positivo solo se sorretta da un esercizio di onestà intellettuale e da un'analisi seria dei problemi reali. Per questo considero una vera ipocrisia che in questa sede qualcuno venga a parlarci di collateralismo ed a metterci in guardia dai suoi pericoli, quando non siamo certo noi in Consiglio a divenire ogni giorno sponda di strategie meramente tattiche e di logiche di risultato ad ogni costo.
Così come trovo inaccettabile che si accusi MD di creare blocchi consiliari. Mi pare evidente che si tratta di un alibi tardivo, di un'analisi consolatoria e sbagliata da parte di chi continua in tal modo a giustificare il persistere di un sistema potere quarantennale, di un lungo monopolio di controllo su carriere e nomine.
Parlavo poco fa dell'orizzonte corporativo e chiuso in cui una parte del Consiglio si muove quando si tratta di carriera, incarichi e nomine. Ed è questo tipo di orizzonte che spiega molte scelte consiliari.
Purtroppo tale orizzonte risulta oggi rafforzato dai comportamenti di una parte dei componenti laici, che la Costituzione ha voluto partecipi della vita del Consiglio affidando loro compiti diametralmente opposti a quelli praticati in concreto. Essi hanno saputo sfruttare al meglio l'autostrada aperta davanti a loro da quelle logiche di corrente che Claudio Castelli nei suoi recenti interventi pubblici ha stigmatizzato e che altri ha cercato inutilmente di annacquare con una chiamata di correo ed un invito a cambiare che, in assenza di un'autocritica seria, è stato formulato avendo in s i germi del fallimento.
Credo dobbiamo dire con forza che il fallimento delle politiche consiliari (innanzitutto) sulle nomine dei dirigenti finisce per mettere in crisi non solo la funzionalità del Consiglio, ma addirittura il ruolo istituzionale ed il rilievo costituzionale del Consiglio stesso e dell'intera magistratura. Il fatto che noi rivendichiamo con forza al C.S.M. ed ai dirigenti degli uffici un ruolo decisivo di auto-governo e auto-amministrazione comporta un'assunzione di potestà e di responsabilità che non possono restare, oggi meno che mai, senza conseguenze sugli assetti costituzionali e ordinamentali.
Ma vorrei fare un passo ulteriore. Le difficoltà in cui opera oggi il Consiglio e la incapacità dei rappresentanti degli altri gruppi di cogliere la centralità dei bisogni dei cittadini non possono essere comprese se non si coglie il legame che i componenti del Consiglio hanno con quella parte della magistratura che essi rappresentano. E' prima di tutto in questa magistratura e nelle sue opzioni professionali che i bisogni dei cittadini cedono di fronte alle aspettative di carriera dei magistrati ed alle loro esigenze organizzative. In altre parole, le scelte consiliari su alcuni temi "caldi" sono la proiezione delle opzioni culturali e delle scelte che si manifestano ogni giorno nella vita degli uffici giudiziari. Pur nel necessario schematismo di un intervento di pochi minuti, sembra possibile affermare che è la corrispondenza fra le opzioni culturali espresse dai magistrati e dai loro rappresentanti che rende assai difficile incidere sulle scelte e sui comportamenti di questi ultimi.
Se questa osservazione viene condivisa, essa ci impone una particolare attenzione nel considerare il rapporto fra correnti e C.S.M. Non siamo in presenza, infatti, di una semplice spinta alla "occupazione" del Consiglio, bensì ad una proiezione - seppure in termini di potere - di un linguaggio e di un pensiero diffusi nella magistratura: se così non fosse, potrebbe rivelarsi sufficiente un accordo che impedisca le degenerazioni o gli eccessi di "correntismo", mentre tale accordo non è stato possibile n sembra praticabile.
Occorre, mi pare, cambiare registro e ripartire dal legame necessario fra CSM - consigli giudiziari - uffici - singoli magistrati e fra questo circuito (di governo autonomo) e la società, i cittadini.
Un segnale in questo senso è venuto, seppure con prospettazioni diverse, dal bellissimo intervento di Rita Sanlorenzo (che ha saputo tenere insieme come nessuno i diversi piani e la complessità del progetto di Md), ma anche dalle parole di Viazzi e Ippolito, e in modo ancora pi diretto dal fortissimo richiamo di Smuraglia o dalle prospettive dei rappresentanti di CGIL, SILP, CITTADINANZATTIVA, MEDICI SENZA FRONTIERE.
Ecco, se devo cercare la voce sotterranea del nostro congresso, quella che attraversa anche gli interventi che hanno affrontato temi come l'organizzazione della giustizia o la costituzione europea, credo di poterla trovare nella voce di chi è venuto a rappresentare i lavoratori, i consumatori, i cittadini ed i "non cittadini".
A fronte di quelle voci e dei bisogni che esprimono, è senz'altro fondamentale il richiamo ad una risposta pi forte sul terreno della giurisprudenza. Ippolito, Sanlorenzo e, soprattutto Smuraglia, hanno sollecitato una rinnovata attenzione alla giurisprudenza come veicolo di ri-affermazione dei diritti. Non posso certo dire di pi di quanto hanno fatto loro.
Vorrei quindi chiudere il mio intervento con l'altro versante della tutela dei diritti, quello che si articola attorno all'efficienza del servizio. E siccome il termine efficienza si presta a fraintendimenti, preferisco parlare oggi di QUALITA' della giustizia. Perch il riferimento alla "qualità" richiama la necessaria compresenza positiva di quattro livelli: a) l'indipendenza del singolo giudice e della magistratura nel suo complesso; b) la qualità della giurisprudenza; c) la
efficienza ed efficacia degli strumenti e dell'organizzazione; 4) una organizzazione partecipata (sul punto vorrei richiamare la complessa vicenda delle tabelle della Procura di Palermo) e finalizzata ad un buon risultato gestionale.
Si tratta, come si vede, di quattro aspetti che "si tengono" fra loro. Sono profondamente convinto che fra i diversi gruppi di magistrati solo Md ha consapevolmente cercato nel tempo di farsene carico con uno sguardo complessivo. In questo ricerca essa ha tentato di percorrere nella sua elaborazione e nelle prassi il filo sottile, il percorso stretto che si colloca fra professionalità secondo competenza e rischi di carrierismo; fra esigenze di valutazione professionale, finalmente accettate, e inevitabili timori individuali dei suoi risultati; fra aumento di produzione e "produttivismo senza qualità"; fra bisogno di rappresentanza e ricerca di "protezione". Molto ci sarebbe da dire su cosa significhi oggi per i magistrati la ricerca di protezione presso uno dei gruppi associativi e su come questo si leghi in modo nuovo alle degenerazioni del sistema delle correnti, ma non è possibile qui occuparcene.
Perch solo Md è riuscita, pur con mille contraddizioni, a collocarsi lungo quella linea sottile di cui parlavamo un attimo fa? Questo risultato lo si deve, io credo, ai legami profondi che il gruppo ha sempre cercato e coltivato con associazioni, movimenti e società civile. Quei legami hanno rappresentato un antidoto potente sia alla rassegnazione, con le inevitabili ricerche di posizioni personalistiche, sia a spinte tecnocratiche.
Se crediamo che questo sia vero, allora dobbiamo fare della qualità della giustizia un obiettivo primario, in essa includendo anche un miglioramento della produttività che non schiacci la qualità delle decisioni. E' un compito difficile, che può essere perseguito solo con una forte crescita culturale, come ha dimostrato per intero la positiva esperienza degli "osservatori" civili.
In tale prospettiva vorrei conclusivamente richiamare non solo e non tanto ciò che il CSM realizza in modo inadeguato e di cui si è molto parlato, ma anche ciò che il Consiglio non riesce a fare: penso ai controlli di qualità sui programmi organizzativi; penso ai lavori del "gruppo misto" in tema di statistiche e valutazione; penso al controllo ed alla promozione dei presidenti di sezione e del loro ruolo all'interno dei tribunali. Tutti aspetti che dovrebbero concorrere verso l'obiettivo di fornire ai cittadini un servizio migliore e che ci chiedono un impegno rinnovato, una riflessione seria, una proposta al passo con le esigenze.