XV. L'indipendenza <i>debole</i> della magistratura onoraria
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- E' innegabile che nell'attuale fase istituzionale i giudici di pace abbiano guadagnato un proprio spazio nella cultura giuridica ed anche in una parte dell'opinione pubblica (ancorch nell'ambito del Csm, con l'eccezione della componente di Md e di poche altre isolate presenze, le tematiche che la riguardano sono ancora seguite con un certo distacco, forse perch l'impegno per esse speso non è "pagante" in termini di acquisizione dei consensi").
Le ragioni di questa pi accentuata attenzione sono molteplici.
In primo luogo, la disciplina sul giudice unico di primo grado, nell'attribuire un carattere di temporaneità ai giudici onorari di tribunale ed ai viceprocuratori, ha finito per tracciare una linea di demarcazione piuttosto netta tra quell'area della magistratura che assolve - o dovrebbe assolvere - ad una funzione in senso lato "vicaria" ed un'altra - quella, appunto, dei giudici di pace - che è dotata di una funzione propria ed esclusiva e che si connota, in particolare, per la sua pur relativa stabilità. In secondo luogo, nel momento in cui l'istituzione del giudice unico di primo grado ha comportato inevitabilmente una minore presenza sul territorio dei magistrati professionali, il giudice di pace è investito anche di quel ruolo di immediato raccordo tra ufficio giudiziario e società che, soprattutto nei centri minori, era stato in precedenza positivamente svolto dal pretore. In terzo luogo, la prospettiva - coltivata da larga parte della dottrina nel tentativo di arginare la crisi della giurisdizione - della introduzione di strumenti volti alla definizione dei processi penali secondo moduli che si ispirino all'obiettivo di favorire la capacità di autoregolazione degli interessati, piuttosto che al momento decisorio, rimanda in qualche misura al "modello" del giudice di pace: il d.lgs. 28 agosto 2000, n.274, che dopo numerosi rinvii ha preso finalmente il via il 1 gennaio di quest'anno, se per un verso non sfugge ad un tecnicismo che è stato da molti ritenuto eccessivo, per altro verso contiene, tuttavia delle significative aperture nella direzione indicata (si pensi,ad esempio, al tentativo obbligatorio di conciliazione in relazione ai reati perseguibili a querela, all'estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie, ecc.).
Nonostante lo spiccato rilievo che il giudice di pace va, dunque, assumendo nell'ambito dell'ordine giudiziario, non può dirsi tuttavia che sia stata sciolta ogni ambiguità in ordine non solo al ruolo che gli si intende realmente attribuire (in relazione al quale può utilmente rinviarsi alle riflessioni contenute dell'ultima parte della Relazione al Parlamento, che è stata licenziata dal Consiglio nel luglio 2001), ma soprattutto al suo status ed alle relative garanzie.
Se si riconosce, infatti, che i giudici di pace esercitano a pieno titolo un potere giurisdizionale e che, d'altra parte, l'attribuzione di una pari dignità a tutte le funzioni giudiziarie (da quelle del pretore a quelle del consigliere di cassazione) ha costituito l'asse di un processo riformatore che in quest'ultimo trentennio ha incisivamente modificato l'ordinamento giudiziario e la stessa composizione del Csm, occorre allora impegnarsi per un rafforzamento della loro indipendenza, che può considerarsi tuttora debole.
A tal fine devono essere, anzitutto, adeguatamente rafforzati gli strumenti di formazione e di aggiornamento professionale, se è vero - come anche il Csm ha avuto modo di affermare in passato - che soltanto un elevato livello di professionalità consente al giudice di essere davvero indipendente ed autonomo, consentendogli una scelta consapevole, e non già arbitraria e soggettivistica, tra le possibili interpretazioni della norma, e diviene così fattore indeclinabile di legittimazione della funzione giudiziaria.
Va detto al riguardo che nel corso dell'attuale consiliatura si è fatto pi di un passo avanti in tale direzione attraverso l'adozione di circolari che, in attuazione dei criteri fissati in via generale dal legislatore ed in attesa che il sistema di nomina giunga a regime (sì che il tirocinio preceda e condizioni la nomina stessa), hanno disciplinato le modalità della formazione, privilegiando opportunamente il modello decentrato. Salva l'esigenza di affinare in futuro questi strumenti di intervento formativo - e di promuovere alcuni momenti di confronto centralizzato (soprattutto sui non pochi problemi di carattere organizzativo che i coordinatori degli uffici del giudice di pace si trovano ad affrontare) -, ciò che allo stato occorre è che essi trovino in concreto una adeguata attuazione, essendo diffusa la sensazione che una parte non trascurabile dei magistrati affidatari svolga il ruolo loro assegnato con scarsa consapevolezza della sua importanza; ed è evidente che in proposito è decisivo l'impegno dei Consigli giudiziari, i cui componenti sono stati alleggeriti dal lavoro giudiziario attraverso il parziale esonero per essi previsto da una recente delibera del Csm e che tanto pi dovranno abbandonare ogni residua "tentazione" a sottovalutare la gestione della magistratura onoraria.
- In secondo luogo, i tempi appaiono ormai maturi per porre la questione della effettiva inclusione dei giudici di pace nel circuito della amministrazione della giurisdizione.
Non è il caso di analizzare in questa sede le forme che tale presenza potrebbe in futuro assumere e di esprimere un'opzione esplicita.
Certo è, ad ogni modo, che l'attuale situazione di "eterogoverno" costituisce un modello ormai anacronistico di "potere senza rappresentanza" e si muove in controtendenza rispetto alle risalenti spinte partecipative che hanno caratterizzato sinora l'evoluzione delle istituzioni ed i loro rapporti con i soggetti da esse "amministrati".
Nel formulare questi rilievi non si dimentica - ovviamente - che la legge 24 novembre 1999, n.468, ha "aperto" i consigli giudiziari ad un rappresentante dei giudici di pace del distretto, riconoscendo per la prima volta la opportunità di un loro coinvolgimento nel circuito di autogoverno: ma tale pur significativa innovazione non può non considerarsi eccessivamente limitata sotto un duplice profilo. Da un lato, la partecipazione di tale componente è consentita soltanto in relazione ai procedimenti aventi ad oggetto la decadenza, la dispensa e l'irrogazione di sanzioni disciplinari, sì che essa è esclusa - in particolare - quanto alle procedure di nomina ed alla organizzazione del tirocinio, alle quali si è fatto in precedenza specifico riferimento; dall'altro, la presenza, nell'ambito del consiglio giudiziario, di un solo rappresentante dei giudici di pace appare sbilanciata rispetto a quella dei Consigli dell'ordine del distretto, costituita da ben cinque unità, ed impedisce, inoltre, di dar voce ai diversi orientamenti culturali esistenti nella magistratura onoraria, non diversamente che in quella professionale.
In attesa di pi incisive riforme, allo stato occorre che il legislatore provveda quanto meno, dunque (secondo quanto auspicato in una "pratica" aperta in Consiglio dalla componente di Md), a rafforzare nei termini indicati la partecipazione dei giudici di pace nei Consigli giudiziari. Ed è, pertanto, davvero singolare che nel disegno di legge sulla riforma dell'ordinamento giudiziario non sia stata, viceversa, prevista affatto la presenza di giudici di pace (art.4), nonostante l'area di soggetti estranei alla magistratura professionale sia - come è ben noto - piuttosto "affollata".
L'impegno di Md per l'indipendente esercizio della giurisdizione dovrà, quindi, svilupparsi anche in questa direzione, nella piena consapevolezza dell'importanza del ruolo oggi svolto dai giudici di pace e della condivisibilità delle rivendicazioni al riguardo portate avanti dalle loro associazioni rappresentative.
06 03 2003
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