C'è da non crederci. Il presidente del Consiglio - non un qualunque
passante - in una manifestazione di partito interamente teletrasmessa da pi reti nazionali prende a prestito le parole di un uomo di fede (in verità tanto distratto da dimenticare che, secondo l'antico testamento, la fonte dell'amministrazione della giustizia è «la sapienza di Dio»: Nathan 1,3) e le usa come clava per affermare che «l'unica figura definita dal vangelo "iniqua" è quella di un giudice», che «all'Italia è toccata la sorte del golpe giudiziario», che «il fascismo è stato meno odioso di questa burocrazia togata che usa la violenza in nome della giustizia», che i magistrati di Milano che hanno indagato su tangentopoli «sono figure da ricordare con orrore». Il giorno successivo i componenti togati del Consiglio superiore della magistratura (tutti, a prescindere dalle opzioni
culturali) chiedono che su queste affermazioni si pronunci, a tutela dei singoli (non criticati, ma insultati) e della funzione giudiziaria, il
Consiglio (organo garante - per Costituzione - della autonomia e della
indipendenza della magistratura). A tale richiesta aderiscono i componenti eletti dal centro-sinistra, mentre quelli del Polo insorgono all'unisono: non solo esprimono dissenso (cosa, ovviamente, legittima, tanto pi se motivata, e non agganciata a grotteschi slogan evocatori di «manovre politiche»), ma non vogliono proprio che se ne parli, timorosi - forse - che il contraddittorio, anche se "differito" e non teletrasmesso, limiti la "libertà di insulto" del presidente del Consiglio. Non solo, ma per evitare che ciò avvenga adombrano la possibilità di disertare i lavori del Consiglio, impedendo così ogni deliberazione (grazie alla norma che richiede, per la valida costituzione del plenum, la presenza di almeno quattro componenti di nomina parlamentare).
Non si tratta - è bene saperlo - di una possibilità teorica, ma di un
accorgimento ripetutamente minacciato e già praticato il 24 settembre 2002,
quando - per la prima volta nella vita del Consiglio (iniziata nel luglio
1959) - i componenti di estrazione polista, al fine di impedire il varo del
parere sul cd disegno di legge Cirami, disertarono il plenum. Ora la storia
sembra ripetersi. Scrisse qualche mese fa Alessandro Pizzorusso: «la legge
di riforma dell'ordinamento del Consiglio superiore approvata nel 2002 ha
determinato il numero dei consiglieri eletti dal Parlamento la cui presenza
è necessaria per la validità delle sedute del Consiglio in modo tale che è
sufficiente che quattro di essi si assentino perch si determini l'
invalidità della seduta e quindi venga bloccato il funzionamento del
Consiglio. E dato che una convenzione parlamentare assegna alla maggioranza
cinque degli otto posti destinati ai "laici" e che in regime di
partito-azienda tra il leader della maggioranza parlamentare e i "suoi"
membri del Consiglio sussiste un vincolo assai stretto, la minaccia è molto
pi reale di quanto fosse in passato, quando i partiti riconoscevano una
certa autonomia agli eletti al Consiglio su loro designazione». Forse
qualcuno ricorderà che i consiglieri del Polo (oggi così poco sensibili agli
insulti rivolti ai magistrati) si sentirono, allora, profondamente offesi
nella loro dignità e onorabilità e richiesero attestati di stima e
solidarietà per evitare di dimettersi dagli incarichi interni al Consiglio.
Vedremo il seguito...
Ma torniamo al punto da cui eravamo partiti, cioè agli insulti del
presidente del Consiglio a singoli magistrati o ai giudici in quanto tali
(altra volta definiti «doppiamente matti! per prima cosa, politicamente, e
secondo comunque; perch per fare quel lavoro devi essere mentalmente
disturbato, devi avere delle turbe psichiche. Se fanno quel lavoro è perch
sono antropologicamente diversi dal resto della razza umana»). A fronte di
simili amabili esternazioni c'è chi - anche oggi - invita ad «abbassare i
toni». Sarebbe, certo, la strada migliore, ma solo se praticata da tutti;
non anche se ciò significa silenzio di fronte agli insulti, alle
delegittimazioni, alle aggressioni verbali. Se questi atteggiamenti
continuano, la reazione deve, ovviamente, essere sobria e composta, ma guai
se dovesse mancare! Consentire che gli insulti e le aggressioni restino
senza risposta ha, infatti, l'effetto perverso di sedimentare nella pubblica
opinione la percezione del falso come verità. E significa, anche,
mortificare i giudici che, nonostante tutto, continuano a fare il loro
dovere, nel rispetto della costituzione, del dovere di imparzialità, del
principio di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge. Non sarebbe, per
tutti, una buona cosa.