La vicenda della nave Cap Anamur non è e non può essere considerata una vicenda criminale. Certo, sarà l'indagine penale a ricostruire i fatti, a accertare se vi sono state violazioni delle leggi vigenti, a verificare l'applicabilità della cd. scriminante umanitaria (art. 12 cpv. t.u. 286/1998), prevista dalla normativa per escludere la illiceità penale delle attività di soccorso e di assistenza. Ma ciò che fin d'ora segnala la vicenda della nave tedesca è la sorte
che la nostra democrazia e non solo la nostra riserva al diritto
d'asilo.
La mancanza di una legge organica di attuazione dell'art. 10, terzo
comma della Costituzione; la previsione di procedure per il
riconoscimento dello status di rifugiato di cui alla Convenzione di
Ginevra largamente inadeguate sul piano delle garanzie dei richiedenti; addirittura l'introduzione, a opera della legge Bossi Fini, di forme di trattenimento, ossia di detenzione, per i richiedenti, ossia per soggetti portatori di un'istanza di protezione riconosciuta anche da fonti di diritto internazionale: il quadro normativo e le prassi delle commissioni e degli organi amministrativi testimoniano la sostanziale negazione del diritto d'asilo nel nostro ordinamento.
Contro le retoriche che pretendono di tradurre le questioni
dell'immigrazione in termini di ordine pubblico, deve essere ricordato
l'art. 13 cpv della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, che
solennemente proclama il "diritto di ogni individuo" di "lasciare
qualsiasi paese, incluso il proprio". Regolare l'immigrazione è
possibile, ed è possibile farlo con normative che siano allo stesso
tempo giuste ed efficaci; costruire muri - giuridici, militari,
tecnologici - per fermarla servirà solo ad imbarbarire le nostre
democrazie.