Signori Parlamentari,
in data 3 dicembre 2004, mi è stata inviata per la promulgazione la legge "delega al Governo per la riforma dell'ordinamento giudiziario di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, per il decentramento del Ministero della giustizia, per la modifica della disciplina concernente il Consiglio di presidenza della Corte dei conti e il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, nonch per l'emanazione di un testo unico".
Il relativo disegno di legge, presentato dal Governo al Senato della
Repubblica il 29 marzo 2002, 6 stato approvato il 21 gennaio 2004;
modificato dalla Camera dei Deputati il 30 giugno 2004; nuovamente
modificato dal Senato il 10
novembre 2004 e, quindi, approvato in via definitiva dalla Camera dei
Deputati il 1 dicembre 2004.
La legge in esame -preordinata com'è a dare attuazione alla VII
disposizione transitoria, primo comma, della Costituzione- rappresenta un
atto normativo di grande rilievo costituzionale e di notevole complessità,
come è confermato anche dalla ampiezza del dibattito cui ha dato luogo.
La riforma tocca punti cruciali e nevralgici dell'ordinamento
giurisdizionale, il che mi ha imposto un attento confronto con i parametri
fissati dalle norme e dai principi costituzionali che lo disciplinano.
Ciò premesso, esponga qui di seguito quanto da me rilevato.
1. L'articolo 2, comma 31, lettera a), così recita: "(Relazioni
sull'amministrazione della giustizia). 1. Entro il ventesimo giorno dalla
data di inizio di ciascun anno giudiziario il Ministro della giustizia
rende comunicazioni alle Camere sull'amministrazione della giustizia nel
precedente anno e sulle linee di politica giudiziaria per l'anno in
corso...".
Questa norma, laddove prevede che le comunicazioni del Ministro della
giustizia alle Camere comprendono le "linee di politica giudiziaria per
l'anno in corso", si pone in evidente contrasto con le seguenti disposizioni
costituzionali: con l'articolo 101, in base al quale i giudici "sono
soggetti soltanto alla legge"; con l'articolo 104, secondo cui la
magistratura "costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro
potere"; con l'articolo 110, che, nel definire le attribuzioni del Ministro
della giustizia, le limita -"ferme le competenze del Consiglio superiore
della magistratura"- alla "organizzazione" e al "funzionamento dei servizi
relativi alla giustizia".
La norma approvata dalle Camere configura un potere di indirizzo in capo al
Ministro della giustizia, che non trova cittadinanza nel titolo IV della
Costituzione, in base al quale l'esercizio autonomo e indipendente della
funzione giudiziaria è pienamente tutelato, sia nei confronti del potere
esecutivo, sia rispetto alle attribuzioni dello stesso Consiglio superiore
della magistratura.
Aggiungo che l'indicazione di obiettivi primari che l'attività giudiziaria
dovrebbe perseguire nel corso dell'anno ("linee di politica giudiziaria")
determina di per s la violazione anche dell'articolo 112 della
Costituzione, in base al quale "il pubblico ministero ha l'obbligo di
esercitare l'azione penale": il carattere assolutamente generico della
formulazione della norma in esame crea uno spazio di discrezionalità
politica destinato ad incidere sulla giurisdizione.
2. Strettamente connessa a quella appena esaminata è la questione posta dal
criterio direttivo della delega indicato dall'articolo 2, comma 14, lettera
c):
"istituzione presso ogni direzione generale regionale o interregionale
dell'organizzazione giudiziaria dell'ufficio per il monitoraggio dell'esito dei procedimenti in tutte le fasi o gradi del giudizio, al fine di
verificare l'eventuale sussistenza di rilevanti livelli di infondatezza
giudiziariamente accertata della pretesa punitiva manifestata con
l'esercizio dell'azione penale o con mezzi di impugnazione ovvero di
annullamento di sentenze per carenze o distorsioni della motivazione, ovvero
di altre situazioni inequivocabilmente rivelatrici di carenze
professionali".
Anche questa disposizione si pone in palese contrasto con gli articoli 101,
104 e 110 della Costituzione.
Infatti, se si considera la finalità
espressamente indicata dalla norma, risulta evidente che il monitoraggio
dell'esito dei procedimenti
-fase per fase, grado per grado- affidato a strutture deI Ministero della
giustizia, esula dalla "organizzazione" e dal "funzionamento dei servizi
relativi alla giustizia", che costituiscono il contenuto e il limite
costituzionale delle competenze del Ministro.
Inoltre, da questa forma di monitoraggio, avente ad oggetto il contenuto dei
provvedimenti giudiziari, deriva un grave condizionamento dei magistrati
nell'esercizio delle loro funzioni; in particolare, il riferimento alla
possibilità di verificare livelli di infondatezza "della pretesa punitiva
manifestata con l'esercizio dell'azione penale" integra una ulteriore
violazione del citato articolo 112 della Costituzione.
3. Parimenti riferita alla posizione del Ministro della Giustizia è l'altra
questione riguardante la facoltà di impugnativa a lui attribuita
dall'articolo I, comma 1, lettera m), a norma del quale lo stesso Ministro è
"legittimato a ricorrere in sede di giustizia amministrativa contro le
delibere (del Consiglio superiore della magistratura) concernenti il
conferimento o la proroga di incarichi direttivi adottate in contrasto con
il concerto o con il parere previsto al n. 3)".
Tale previsione contrasta palesemente con l'articolo 134 della Costituzione
nella parte in cui stabilisce che è la Corte Costituzionale a giudicare sui
"conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato", compresi quindi i
conflitti tra Consiglio superiore della magistratura e Ministro della
giustizia relativi alle procedure per il conferimento o la proroga degli
incarichi direttivi.
Sul punto la Corte Costituzionale ha avuto modo di pronunciarsi pi volte,
segnatamente nelle sentenze n. 379 del 1992 e n. 380 del 2003. In
quest'ultima, ha affermato, in particolare, che gli articoli 105 e 110 della
Costituzione disegnano un sistema di precisa ripartizione delle autonome
sfere di competenza del Consiglio superiore e del Ministro e che questi "non
ha un generale potere di sindacato intrinseco, n tanto meno di riesame, sul
contenuto degli apprezzamenti e scelte discrezionali operate dal Consiglio
superiore della magistratura rispetto a valutazioni attribuite alla
definitiva deliberazione del Consiglio stesso".
Ne consegue che, in tema di conferimento o di proroga degli incarichi
direttivi, il rapporto tra Consiglio e Ministro implica soltanto un "vincolo
di metodo".
Tale vincolo impedisce il ricorso agli ordinari mezzi di
impugnazione, una volta che il "confronto" -per usare l'espressione della
Corte Costituzionale- sia avvenuto "a seguito di un esame effettivo ed
obiettivo, dialetticamente svolto". In caso contrario, il Ministro
assumerebbe il ruolo di titolare di un interesse legittimo contrapposto a
quello del Consiglio superiore, parificabile a quello del controinteressato
che si dolga di essere stato escluso.
La Corte Costituzionale nelle citate sentenze ha affermato che "il Ministro
deve dare corso al procedimento non essendo investito di particolari poteri
di rinvio
o di riesame, ricadendo su di lui il dovere di adottare l'atto di propria
competenza"; ed ancora, che "non spetta al Ministro della giustizia non dare
corso alla controfirma deI decreto del Presidente della Repubblica di
conferimento di ufficio direttivo (ed ora anche di proroga) sulla base di
deliberazione del Consiglio superiore della magistratura".
4. Altra questione di fondamentale importanza è quella della menomazione dei
poteri del Consiglio superiore della magistratura risultante da diverse
disposizioni della legge delega.
A tale proposito, ricordo che, in base all'articolo 105 della Costituzione,
"Spettano al Consiglio superiore della magistratura, secondo le norme
dell'ordinamento giudiziario, le assunzioni, le assegnazioni ed i
trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei
magistrati".
Tali poteri del Consiglio superiore risultano - in palese contrasto con il
dettato costituzionale - sensibihnente ridimensionati, in quanto il sistema
delineato nella legge delega colloca al centro di ogni procedura concorsuale
la Scuola superiore della magistratura, struttura esterna al Consiglio
superiore, e apposite commissioni, anch' esse esterne allo stesso Consiglio.
Infatti, secondo quanto dispone l'articolo 2, comma 1, lettera O numeri 3.1
e 3.2, il Consiglio superiore deve assegnare i posti ai magistrati "che
abbiano frequentato con favorevole giudizio finale un apposito corso di
formazione alle funzioni di secondo grado presso la Scuola superiora della
magistratura" e "che risultino positivamente valutati nel concorso" per
titoli ed esami o nel concorso per titoli "previsto dalla letteraj) numero
2", prima e seconda parte.
Nello stesso senso recitano le disposizioni
contenute nei numeri 4.1, 4.2, 7.1, 7.2, 9.1 e 9.2 della lettera
1), nonch, per il passaggio dalla funzione giudicante a quella requirente e
viceversa, nei numeri 1 e 3 della lettera g) e, per le t'unzioni direttive,
nel numero 17 della lettera h) e nel numero 6 della lettera i).
L'assegnazione da parte del Consiglio superiore della magistratura deve
avvenire "secondo l'ordine di graduatoria di cui rispettivamente al concorso
per titoli ed esami, scritti ed orali, o al concorso per soli titoli, salvo
che vi ostino specifiche e determinate ragioni delle quali deve fornire
dettagliata motivazione e, a parità di graduatoria, secondo l'anzianità di
servizio" (articolo 2, comma 1, lettera i), numero 3.5).
Nello stesso senso
recitano le disposizioni contenute nei numeri 4.5, 7.5 e 95 della lettera i)
e, per le funzioni semidirettive, nel numero 2 della lettera m).
Il sistema sopra delineato sottopone sostanzialmente il Consiglio superiore
della magistratura a un regime di vincolo che ne riduce notevolmente i
poteri definiti nel citato articolo 105 della Costituzione.
L'invasione della sfera di competenza riservata al Consiglio è
particolarmente evidente nell'ipotesi in cui i candidati siano stati esclusi
nell'ambito delle predette procedure.
Infatti, allorch manchino il
favorevole giudizio conseguito presso la Scuola superiore o la positiva
valutazione nel concorso da parte della commissione, il Consiglio non può
neppure prendere in considerazione la posizione del candidato escluso.
Per i motivi di palese incostituzionalità innanzi illustrati, chiedo alle
Camere
-a norma dell'articolo 74, primo comma, della Costituzione- una nuova
deliberazione in ordine alla legge a me trasmessa il 3 dicembre 2004.
Con l'occasione ritengo opportuno rilevare quanto l'analisi del testo sia
resa difficile dal fatto che le disposizioni in esso contenute sono
condensate in due soli articoli, il secondo dei quali consta di 49 commi ed
occupa 38 delle 40 pagine di cui si compone il messaggio legislativo.
A tale proposito, ritengo che questa possa essere la sede propria per
richiamare l'attenzione del Parlamento su un modo di legiferare -invalso da tempo- che non appare coerente con la ratio delle norme costituzionali che
disciplinano il procedimento legislativo e, segnatamente, con l'articolo 72
della Costituzione, secondo cui ogni legge deve essere approvata "articolo
per articolo e con votazione finale".