In difesa della Costituzione
Mai come oggi, all'indomani del voto del Senato del 23 marzo, il tentativo di modificare la Costituzione del 1947 era arrivato a un punto cosi avanzato e mai i numeri parla-mentari ne avevano lasciato intravedere la riuscita. Non è, dunque, più tempo di guardare al-l'operazione in corso, per sgangherata che sia, con la sufficienza e il senso di infasti-dita superiorità esibiti in questi mesi.
Il testo approvato non è solo come dicono alcuni - un compromesso mediocre, confuso e in molte parti ingestibile, imposto dal ricatto della componente (più) estremista della maggioranza. A questa faccia folcloristica della medaglia si affianca quella di sostanza, consistente nell'affondo contro i principi e i valori che hanno caratterizzato, anche nei momenti di maggior conflitto, la vicenda politica e sociale della repubblica: la concezio-ne dello Stato come rappresentanza pluralistica dei cittadini, l'uguaglianza delle donne e de-gli uomini che lo abitano (ovunque abbiano fissato la loro residenza), un adeguato bilancia-mento di poteri e di garanzie teso a evitare la tirannide o le prevaricazioni della maggioranza. Orbene, proprio su questi punti si innestano le modifiche vere della Carta (ché il resto è contorno, fumo o poco più). Di esse questa Rivista si è analiticamente occupata nell'obiettivo dello scorso fascicolo ed è, dunque, qui suffi-ciente ricordarle: l'abnorme concentrazione di poteri nel Primo Ministro, con riduzione del popolo a somma di individui chiamati, solo, a designare il premier e degradazione del Par-lamento ad "aula sorda e muta" (suscettibile di essere sfollata ove i suoi membri pro-nuncino parole di dissenso); la frammentazione, attraverso la devolution, dei diritti sociali, ridotti ad aspettative di servizi differenziati sul territorio; il depotenziamento degli organi di garanzia (Presidente della Repubblica, Corte costituzionale e magistratura), nono-stante la loro necessità per realizzare una democrazia delle regole e per tutelare i diritti di tutti.
Ai contenuti, poi, si affiancano i modi. L'operazione è stata (è) condotta all'insegna del revanscismo, della esibita forza dei numeri rispetto alle idee (sintomatico il contin-gentamento in tempi irrisori del dibattito parlamentare), di un diffuso "vandalismo costitu-zionale" (per usare la felice espressione di Gaetano Silvestri). Difficile non riandare al cupo auspicio di Gianfranco Miglio, secondo cui ´è sbagliato dire che una Costituzione deve esse-re voluta da tutto il popolo. Una Costituzione è un patto che i vincitori impongono ai vinti. Qual è il mio sogno? Lega e Forza Italia raggiungono la metà più uno. Metà degli italiani fanno la Costituzione anche per l'altra metà. Poi si tratta di mantenere l'ordine nelle piazze'.
Ciò impone di abbandonare le analisi consolatorie e le speranze acritiche in una sorta di palingenesi referendaria. Alla deriva odierna si è arrivati per lo strapotere e la spregiudica-tezza della maggioranza ma anche per le ambiguità e le debolezze dell'opposizione. La Co-stituzione può essere oggi strapazzata perché è stata, negli anni, delegittimata e ri-dotta a merce di scambio, perché si è consumata la devastante esperienza della Bi-camerale, perché l'ingegneria istituzionale è stata a lungo un gioco disinvoltamente praticato anche a sinistra (sino a prospettare per usare parole del 1996 di Giuseppe Borrè - ´un'as-semblea costituente come se fosse ordinaria amministrazione, oppure l'importazione di si-stemi costituzionali stranieri come se si trattasse di importazione di grano alla rinfusa o di pelli secche'), perché la scorsa legislatura si è chiusa con l'improvvida approvazione a colpi di risicata maggioranza del titolo quinto, perché in difesa della Carta del 1947 non si sono chiamati a raccolta i cittadini (come, giustamente, è stato fatto, per esempio, per l'art. 18 del-lo statuto dei lavoratori).
» da qui che occorre partire. Lo scontro costituzionale si può vincere solo abbandonando irrealistiche e infondate prospettive di diversi equilibri pacificatori e facendo quadrato intor-no a questa Costituzione, riconoscendo in essa il senso della nostra democrazia (per-ché ciò che unisce e forma gli stati e i popoli non sono i confini, le bandiere o peggio le razze e le lingue, ma, appunto, le costituzioni). » una operazione necessaria e possi-bile. Essa come ha scritto Mario Dogliani - ´dipende dalle forze politiche. Se finirà il gros-solano equivoco di vedere nella difesa della Costituzione un atteggiamento politicamente conservatore e intellettualmente inerte (equivoco dovuto all'ignoranza di chi non sa che i grandi sistemi normativi sono divenuti tali solo perché hanno beneficiato di interpretazioni e revisioni rispettose e costruttive) la deriva potrà essere contrastata, e forse arrestata'. Altri-menti, è inutile confidare nel referendum, ché nessuno sarà disposto a impegnarsi per un guscio vuoto.