Editoriale
Tre temi dominano questo fascicolo: i passaggi conclusivi dell'iter di approvazione della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (nucleo di una possibile Costituzione per l'Europa, su cui si sofferma G. Bronzini), gli incerti destini del processo penale (di cui si occupano, sotto diversi profili, G. Santalucia e P. Ferrua e in cui si inserisce la riflessione di L. Pepino sulla sentenza del Tribunale di Palermo nei confronti del sen. Andreotti) e l'imminente congresso di Magistratura democratica (a cui è dedicato l'intero obiettivo). L'attenzione al congresso di Md non è legata a logiche di gruppo: discende, piuttosto, dalla percezione che la giurisdizione continua ad essere al centro dello scontro politico e che il punto di attacco di chi persegue un potere sganciato dalle regole è e a maggior ragione sarà proprio Md, per ciò che essa rappresenta sul piano della cultura e della prassi dei giudici. Non è casuale l'ennesimo attacco dell'on. Berlusconi che, al meeting di Rimini di Comunione e Liberazione, ha definito Magistratura democratica il braccio armato dei comunisti e l'attività giudiziaria in tema di corruzione come un'operazione di Md finalizzata all'eliminazione di avversari politici. Si tratta come sa chiunque si sia occupato, anche marginalmente, di giurisdizione di un'affermazione grottesca oltre che falsa: ma proprio questo indica la spregiudicatezza del disegno perseguito. Sorprende, dunque, il disinteresse di un'Associazione nazionale magistrati rimasta distratta e silenziosa; anche questo contribuisce a rendere interessante (e forse decisivo) il dibattito dei magistrati progressisti e le loro strategie negli anni a venire.
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Il tormentone su amnistia e indulto si è concluso, come prevedibile, nel peggiore dei modi: un nulla di fatto, in assenza persino di un dibattito parlamentare, con la politica rimasta alla finestra, paralizzata dall'attesa della mossa dell'avversario, incapace di un progetto originale e definito.
L'input alla politica era venuto, questa volta, da fonti eterogenee. Anzitutto dalla Chiesa: non all'improvviso ché l'invito papale alla clemenza era stato preceduto da numerose avvisaglie, sin dal 1998, quanto il cardinale Martini, visitando il carcere di San Vittore, aveva prospettato un beneficio in occasione del Giubileo, definendolo un importante gesto di riconciliazione, caratteristico del Giubileo biblico e dicendosi certo che anche i mass media e la pubblica opinione ascolteranno questa parola e ne faranno opportuna riflessione perché sia portata nelle sedi competenti. Una analoga richiesta trasfusa in una specifica proposta (il cd progetto Cusani-Segio) era, poi, partita dall'associazionismo vicino al carcere, anche con l'impegno diretto di ex detenuti, sulla scia dell'esperienza francese in cui colletti bianchi e intellettuali provati dall'esperienza del carcere sono tra i più attivi nel settore (ed è un'altra anomalia del caso italiano che il revival dei miracolati di Tangentopoli si sia spesso accompagnato all'insulto gratuito nei confronti di chi, avendo sbagliato e pagato, non ha rinunciato all'impegno e alla passione civile ...). Input eterogenei, dunque: non necessariamente condivisibili ma meritevoli, in ogni caso, di un dibatto alto e di decisioni conseguenti. Nulla di tutto questo è accaduto. Il sistema politico si è dimostrato incapace di accoglierli e la sua reazione è stata una sagra di non detti e rinvii sine die, fino alla chiusura del Parlamento per ferie... La preoccupazione principale è stata il consenso elettorale; maggioranza e opposizione hanno passato mesi a fronteggiarsi in una battaglia di logoramento, aspettando la mossa dell'avversario e producendosi in avances grottesche: dalla diatriba sulla compatibilità tra indulto e amnistia alla scoperto dell'indulto revocabile per commissione di ulteriori reati (cioè dell'indulto classico, da sempre praticato...). Di più. Una sfilata di politici e di alti magistrati si è affannata a spiegare con sussiegoso severità che amnistia e indulto non risolvono i problemi della criminalità; in attesa che qualche premio Nobel della medicina spieghi che l'aspirina non rimuove le cause della malattia e che gli antidolorifici non guariscono il cancro... C'è da non crederci. Chi mai ha sostenuto il carattere risolutivo dei provvedimenti di clemenza? Il terreno di confronto era (ed è) tutt"altro: l'amnistia può aiutare la ripresa di una giustizia penale gravata da arretrati ingestibili e conseguentemente incapace di interventi tempestivi (soli in grado di costituire un parziale antidoto contro l'insicurezza); l'indulto può alleggerire le tensioni di un sistema carcerario insostenibile (non foss"altro per la sproporzione tra detenuti e strutture), dando respiro a chi davvero vuole trasformarlo; entrambi i provvedimenti possono essere un segnale nel senso che i problemi dell'insicurezza e della paura esigono risposte globali e non scorciatoie repressive. Di ciò si sarebbe dovuto discutere, contrapponendo argomenti a argomenti. E invece si sono preferite, ancora una volta, le piccole furbizie e le attese defatiganti.
settembre 2000
(l.p.)