Il diritto penale e gli ultimi strascichi di una legislatura fallimentare
Se per politica penale si intende - come si deve intendere - l'intreccio tra definizione dell'area della penalità e pratica della punizione, quella della legislatura appena conclusa è stata assai più innovativa di quanto comunemente si creda ed ha prodotto nel sistema cambiamenti che non è esagerato qualificare eversivi (evidenziati dalla continua crescita del carcere, della cosiddetta "area penale esterna" e della detenzione amministrativa). Certo non sono stati riscritti i codici, come prometteva a inizio legislatura l'incauto guardasigilli padano, né hanno prodotto risultati (neppure sotto il profilo culturale) le molte commissioni di studio destinate solo a esibire studiosi amici e a fungere da "specchietti per le allodole" mentre, altrove, si consumavano scambi e si dettavano scelte e priorità. Ma è un fatto che la penalità è stata riscritta e interpretata senza risparmio: talora con interventi ex novo (è il caso della nuova disciplina della recidiva e dei suoi effetti), talaltra proseguendo strade già intraprese (si pensi alla differenziazione delle pene a seconda del "tipo d'autore"); in alcune occasioni con accompagnamento di fanfara (è il caso del diritto speciale dei migranti), in altri quasi di soppiatto (si pensi alla disciplina degli stupefacenti, inserita come emendamento in sede di conversione di un decreto legge contenente norme per la sicurezza e il finanziamento delle Olimpiadi).
Il segno di questa politica è plasticamente riassunto da due interventi normativi, approvati in gran fretta negli ultimi giorni della legislatura, che costituiscono vere e proprie macchie sulla civiltà dei moderni: la legge 13 febbraio 2006, n. 59 (recante modifiche alla disci-plina della legittima difesa) e la legge 21 febbraio 2006, n. 49 (con cui è stata riscritta, pressoché per intero, la disciplina degli stupefacenti e della tossicodipendenza).
Con il primo intervento è stata snaturata la causa di non punibilità dell'art. 52 del codice penale, prevedendone l'operatività comunque - ché di ciò in concreto si tratta - nel caso di uso di un'arma legittima-mente detenuta per difendere l'incolumità o i beni, propri o altrui, nella propria casa (e relative pertinenze), nel proprio negozio o nel proprio luogo di lavoro. Mai, neppure in epoca fascista, i principi e le regole di convivenza avevano subito uno strappo così profondo e lacerante. E' l'introduzione nel sistema di una sorta di pena privata, cioè decisa dalla persona offesa (o dalla presunta persona offesa) e da essa direttamente inflitta, con un oggetto possibile è l'uccisione del reo (o del presunto reo) è non previsto in nessun altro caso dall'ordinamento e, anzi, espressamente escluso dall'art. 27 della Carta fondamentale. Così, con un tratto di penna, si cancella il fondamento stesso del diritto penale moderno che ha come idea guida e ragion d'essere la sottrazione del reo alla vendetta privata e l'attribuzione esclusiva allo Stato del potere di punire le condotte illecite, all'esito di un processo garantito e ad opera di un giudice imparziale. Il messaggio di inizio legislatura ("vi di-fenderemo meglio") svela, infine, il suo reale contenuto: "difendetevi da soli e, comunque, vi garantiremo l'impunità".
Con la legge n. 49/2006, poi, la disciplina degli stupefacenti ha subito una ulteriore curvatura proibizionista e segregante (quasi che già oggi non fosse lì la principale causa di privazione della libertà personale): basti pensare alla parificazione delle droghe leggere e di quelle pesanti (così che la canapa diventa, per legge, uguale all'eroina o alla cocaina); all'affievolimento della distinzione tra tossicodipendenti, consumatori occasionali e spacciatori con previsione per tutti i com-portamenti che "hanno a che fare" con gli stupefacenti (salvo i casi conclamati di uso personale e le cosiddette "ipotesi di lieve entità") del carcere nella misura minima di sei anni; alla introduzione di vere e proprie misure di prevenzione ad hoc per tossicodipendenti; alla con-fusione e sovrapposizione impropria di punizione e trattamento. In questo crescendo di ideologia e pratica repressiva è non intaccato dal (solo apparente) ampliamento della possibilità di percorsi terapeutici alternativi - si è giunti addirittura (altro strappo alla modernità) a configurare una sorta di "diritto penale dell'apparenza", ché il testo novel-lato dell'art. 73, comma 1 bis, lett. a, del testo unico modificato preve-de la punibilità della detenzione (e condotte assimilate) di sostanze stupefacenti o psicotrope che per quantità (...), ovvero per modalità di presentazione (...), ovvero per altre circostanze dell'azione, appaiono destinate ad un uso non esclusivamente personale (corsivo mio). E' l'ennesima conferma che il "sonno della ragione" genera mostri.