Indulto: un provvedimento necessario, un occasione sprecata
L'indulto continua a occupare la scena politica tra disconoscimenti di paternit? (o affermazioni di paternit? sofferta), balletti di cifre sull'entit? delle scarcerazioni e dei rientri in carcere, sconfortanti analisi sul nesso tra il provvedimento di clemenza e ogni italica nefandezza (compresa la camorra), impudico dispiegarsi delle più irrazionali pulsioni repressive, realistiche denunce sulla ineffettivit? del sistema pe-nale. Conviene, dunque, parlarne ancora. E con chiarezza.
L'indulto ? lo diciamo senza incertezze o distinguo - era necessario. Uno degli indici di civilt? di un Paese risiede nello stato delle sue carceri, che possono essere luoghi di privazione della libert? nel rispetto degli altri diritti del detenuto ovvero luoghi di degrado e di umiliazione. Orbene, nel nostro Paese i detenuti sono passati dai 25.804 del 31 dicembre 1990 ai 59.523 del 31 dicembre 2005 e agli oltre 60.000 dei primi mesi del 2006, mentre le strutture sono rimaste sostanzialmente invariate (con una recettivit? massima di circa 40.000 unit?). Tanto dovrebbe bastare a troncare ogni discussione. Ma c'? di più: nel giugno 2006 sulla porta del carcere, in attesa delle decisioni dei tribunali di sorveglianza in ordine alla concessione (o meno) di misure alternative, c'erano almeno altrettanti condannati e le sanzioni alternative in corso erano poco meno di 50.000 (a fronte delle 6.251 del 1990) con un sostanziale abbandono dei condannati a se stessi. Lo sfoltimento del numero dei detenuti e dei condannati era, dunque, una necessit? assoluta: anzitutto per ragioni umanitarie e, in secondo luogo, per restituire un minimo di funzionalit? al sistema. Ma ? si dice ? il sovraccarico del penale non si risolve scarcerando in modo indiscriminato i delinquenti e se le carceri sono insufficienti se ne costrui-scano di nuove. Obiezioni tanto suggestive quanto infondate. L'indulto non ? un generico e generalizzato "liberi tutti": non solo ? escluso per alcuni delitti di particolare gravit?, ma riguarda, nella maggior parte dei casi, reati di lieve o media entit? con pene al di sotto di un anno (irregolarit? nell'immigrazione, detenzione di modeste quantit? di stupefacenti, piccoli furti), ch? oltre il 50% dei detenuti sono immigrati o assuntori di stupefacenti. ? vero: ci sono stati casi di applicazione a delitti gravi ed efferati, ma ? per restare agli esempi enfatizzati dai media ? la scarcerazione con due anni di anticipo di un omicida condannato a ventiquattro anni non ? certo una cancellazione della pena... E poi, dire ?costruiamo nuove carceri? significa parlar d'altro, se ? vero che la messa a punto di un edificio penitenziario richiede almeno dieci anni, ed ?, anche in prospettiva, elusivo ch? costruire più carceri ha sempre significato solo aumentare il numero dei detenuti.
Se si fermasse qui, peraltro, l'analisi sarebbe monca. Non solo, infatti, questo provvedimento di indulto ? stato mal congegnato (in particolare per l'eccessiva estensione quantitativa e qualitativa) ma, soprattutto, esso ha rappresentato una occasione perduta. L'indulto ? un provvedimento di clemenza ma anche uno strumento di politica giudiziaria: da solo diminuisce momentaneamente il carico di sofferenza del carcere ? e non ? poco ? ma lascia irrisolti i problemi ad esso sottostanti. I dati hanno la testa dura: il 31 dicembre 1990 (all'indomani del precedente indulto) i detenuti scesero a 25.804, ma un anno dopo erano gi? risaliti a 35.469 (superando il dato di 30.421 del 31 dicembre 1989)... Dopo sedici anni era lecito attendersi che la lezione fosse stata compresa e che l'indulto venisse proposto come tessera (anzi come elemento propulsore) di una diversa politica penale fondata sull'abolizione delle norme inutilmente criminogene introdotte nella scorsa legislatura (disposizioni sulla recidiva, norme penali del testo unico sull'immigrazione, modifiche al trattamento di droga e tossicodipen-denza), su una strategia di appoggio e sostegno alle vittime del reato, su una strumentazione destinata a rendere possibili ed effettivi i lavori di pubblica utilit? (oggi nient'altro che slogan), su nuove politiche minorili (tradizionale laboratorio di ricerca e di sperimentazione virtuosa di nuove strade e dell'intreccio tra sociale e penale).
Nulla di tutto questo ? accaduto e le speranze di cambiamento nella politica penale e nel settore della giustizia sono ancora oggi legate a qualche intervista di questo o quel ministro, mentre sembra sconveniente persino un dibattito sereno sulla opportunit? di una amnistia selettiva, cio? qualitativamente e quantitativamente ridotta (che pure costituisce ? come la storia repubblicana insegna - una misura di elementare razionalizzazione del sistema penale all'indomani dell'indulto).