Questione giustizia, l'imparzialità dei giudici e i "giuristi di comodo"
Accade di rado che una rivista giuridica assurga agli onori della cronaca e, quando
accade, non vale la pena, in genere, di segnalarlo. Ma le polemiche che hanno
investito nei giorni scorsi questa Rivista meritano una sottolineature
per il clima di cui sono espressione e per i problemi che aprono.
Tutto ha inizio con la singolare richiesta di trasmissione dell'elenco dei
magistrati iscritti a Magistratura democratica indirizzata, il 1? luglio,
al presidente del gruppo da uno dei difensori dell'on. Previti. Inusitata
non solo la richiesta (rivolta parallelamente al presidente del Movimento per
la giustizia), ma anche la motivazione, indicata nell'´interesse dell'imputato
e del suo difensore a conoscere quali siano gli orientamenti politici o ideologici,
se manifestati attraverso l'adesione a correnti associative', dei magistrati
preposti a processi a carico dell'on. Previti, potendo tali orientamenti
incidere sulle ´condizioni di imparzialità, terzietà, serenità
e distacco' degli stessi, messe in dubbio dall'avvenuta pubblicazione
sul n. 2/2002 della rivista Questione giustizia (´promossa dalla
corrente Magistratura democratica') di ´articoli a firma di magistrati
(...) contenenti giudizi di colpevolezza dell'on. Previti, formulati apoditticamente,
senza alcun richiamo a risultanze certe ed oggettive ed in contrasto con il principio
costituzionale della presunzione di non colpevolezza dell'imputato'
che ´potrebbero essere indice di una sorta di communis opinio formatasi
all'interno della corrente associativa, ostile nei confronti dell'imputato'.
Lo scontato rifiuto del presidente di Md di trasmettere l'elenco (stante
il carattere provocatorio della richiesta, formulata, tra l'altro,
in palese violazione dell'art. 11, comma 1, della legge n. 675/1996 sulla
privacy) e la pubblicizzazione dell'iniziativa hanno determinato la
diretta discesa in campo dell'on. Previti che, con ripetuti interventi sulla
stampa scritta e parlata, ha accusato questa Rivista di una campagna colpevolista
nei suoi confronti definendo i collaboratori della stessa ´un sodalizio
partigiano di magistrati e giuristi di comodo '.
Non interessa qui rispondere alle affermazioni dell'on. Previti, e di chi
le ha avallate, anche perché la totale infondatezza delle stesse è
ben nota ai lettori di questa Rivista e in ogni caso agevolmente verificabile
attraverso la lettura degli articoli in essa pubblicati. Merita, invece, segnalare,
a fianco dell'ennesima manifestazione di rifiuto del processo (da delegittimare
anticipatamente con qualunque mezzo), l'attacco gravissimo all'associazionismo
dei magistrati, alla libertà di critica delle vicende processuali e degli
orientamenti giudiziari, alla stessa cultura giuridica. Il riferimento al fascismo
è inevitabile: solo il regime fascista attaccÚ in modo cosi
pesante l'Associazione nazionale magistrati (spingendosi fino ad espellere
dalla magistratura, nel 1926, il suo segretario generale e il suo comitato direttivo,
rei di difendere rigorosamente l'indipendenza e l'autonomia dei giudici)
e l'insulto ´giuristi di comodo' riservato a maestri come Franco
Cordero e Paolo Ferrua altro non è che una moderna edizione dell'antico
disprezzo per il ´culturame'.
Inutile dire che questa Rivista non si lascerà intimidire. Continuerà
a difendere la legalità costituzionale e a denunciarne le violazioni, da
qualunque parte provengano. Continuerà a proclamare il principio fondamentale
del garantismo secondo cui dovere del giudice è assolvere in mancanza di
prove anche se la maggioranza vuole una condanna e condannare in presenza di prove
anche se la maggioranza richiede l'assoluzione. Continuerà a vigilare
sulle condizioni di indipendenza della giurisdizione e della magistratura, come
garanzia irrinunciabile per i cittadini (e non come privilegio corporativo). Continuerà
a rispettare il lessico, non attribuendo al termine ´riforme' il significato
di ´ritorno al passato '. E ciò per contribuire ad evitare
come scrivevamo nell'editoriale del n. 1/2002 che la storia
riproponga stagioni come quella dell'età dell'imperatore Commodo
(180-190 d.C.) in cui, secondo E. Gibbon (Declino e caduta dell'impero
romano, ed. it., Mondadori, Milano, 2000, p. 92), era consentito a un imputato
potente ´non solo ottenere l'annullamento di una giusta sentenza di
condanna, ma anche infliggere all'accusatore, ai testimoni e al giudice la
punizione che più gli piacesse'.
13 luglio 2002
(l.p.)