Stato di diritto, diritto penale del nemico e normalizzazione dei giudici
Fatti inquietanti si susseguono. Hanno come oggetto la giurisdi-zione ma riguardano l'assetto dello Stato di diritto e le libertà di tutti. Il Ministro degli interni dispone l'espulsione di un cittadino straniero imputato di associazione con finalità di terrorismo internazionale e, di fronte all'inevitabile diniego del nulla osta (vietato dalla leg-ge), accusa i magistrati di ´vacue teorizzazioni e tragiche sottovaluta-zioni del terrorismo'; il Ministro della giustizia pretende (e persegue l'obiettivo con ispezioni e minacce di azioni disciplinari) che ´il magistrato sentenzi secondo il comune sentire del popolo, cioè in-terpreti quel che, in un dato momento storico, è il sentimento popola-re'; la componente leghista della maggioranza di governo scatena qualche migliaio di camicie verdi, guidate dal Ministro per le riforme istituzionali, contro il Procuratore della Repubblica di Verona, reo di avere iniziato l'azione penale nei confronti di sei giovani (già destinatari della solidarietà del Ministro della giustizia), condan-nati a sei mesi di reclusione per istigazione all'odio razziale. Non si tratta (solo) di volgare prepotenza e di mancanza di senso istituziona-le. C'è, in tali atteggiamenti, il tentativo di sovvertire il ruolo della giu-risdizione, riducendolo a braccio armato del potere esecutivo e della maggioranza; e c'è, più in generale, l'emergere di impostazioni che richiamano in modo sinistro il nucleo forte delle ideologie totalita-rie della prima metà del secolo scorso e le manifestazioni (l'intolleran-za, la demonizzazione del diverso, l'attacco fisico al-l'avversario) che ne hanno accompagnato l'affermarsi...
La preoccupazione è resa più acuta dal fatto che non si tratta di episodi isolati. I diritti e l'uguaglianza sono oggetto di attacchi frontali, e, con essi, è in crescente sofferenza anche la libertà delle per-sone (pur evocata persino nel nome della coalizione politica di mag-gioranza). Il diritto penale classico cambia pelle e, progressivamente, si allontana dal fatto, assumendo marcate curvature soggettivi-stiche: dopo il diritto speciale dei migranti (vero e proprio macigno nella rottura dell'uguaglianza), i principali istituti del sistema penale stanno per essere riscritti - già sono stati riscritti dalla Camera - aven-do come parametro di riferimento la recidiva, e dunque in base al tipo d'autore. Si tratta del materializzarsi, propiziato dalla guerra, del diritto penale del nemico, che tende alla criminaliz-zazione e alla detenzione degli avversari in quanto tali (e perché tali), indipendentemente dalla commissione di reati, fino a trasformare il nemico stesso in reato: senza contare che la linea di demarcazione tra il nemico, il sospetto nemico e l'untore (magari definito in base al colore della pelle o al credo religioso) è labile e indefinita. Ac-cade finanche che il telegiornale di maggior ascolto (il TG1 delle 13.30 del 30 gennaio 2005) commenti la scarcerazione di alcuni pre-sunti camorristi attribuendola a ´mancanza di gravi indizi o altre scappatoie (sic!) del genere'. Diventa cosi senso comu-ne quel senso comune che il guardasigilli vorrebbe tradotto nelle sentenze la convinzione che la colpevolezza del nemico (cosi come l'innocenza dell'amico) prescinde dalle prove ed è un prius indiscutibile. Inutile aggiungere che, in un sistema a Co-stituzione rigida, orientamenti siffatti possono essere stabilmente assi-curati solo da giudici dipendenti e disponibili ad ubbidire (o ad antici-pare i desiderata della maggioranza) e che ciò indica la ragio-ne vera della riforma in atto dell'ordinamento giudiziario, osti-natamente perseguita dalla maggioranza parlamentare pur dopo il rin-vio della legge alle Camere da parte del Capo dello Stato e accompa-gnata addirittura da provvedimenti legislativi ad o contra personam (come il recente decreto legge di proroga oltre il termi-ne del Procuratore nazionale antimafia).
Sono, queste considerazioni, dettate non da eccesso di allarmismo ma dalla realistica considerazione che come ha scritto recentemente il segretario di Magistratura democratica la deriva in atto, se non tempestivamente fermata, rischia di diventare inarrestabile. Una stra-tegia risalente (fondata, da un lato, sull'ossessione sicuritaria e, dall'al-tro, sulla delegittimazione della giurisdizione) ha allentato la sensibili-tà dell'opinione pubblica. A ciò occorre reagire senza ulteriori attese e tentennamenti: non è compito (solo) dei magistrati, ma anche (e so-prattutto) dei giuristi in genere, della cultura, del mondo dell'informa-zione, della politica.