C'è, nella magistratura un malessere profondo e diffuso, che muove, anzitutto, dalla percezione della inadeguatezza del servizio giustizia e del progressivo aggravarsi della situazione (nonostante qualche eccezione, qua e là). Inadeguatezza e crisi hanno cause molteplici, segnalate (inutilmente) sino alla noia: discipline processuali spesso incongrue e scoordinate (nel civile come nel penale), problemi strutturali vecchi e nuovi (dall'incremento della domanda di giustizia all'assurda e anacronistica geografia giudiziaria), insufficienza dei mezzi e delle risorse e via elencando. Superfluo dire che, tra le ragioni della crisi, alcune stanno all'interno del corpo giudiziario: basti pensare alla disorganizzazione diffusa, alle abnormi sperequazioni nei carichi di la-voro persino negli stessi uffici, alla mancanza di coraggio e determinazione di molti dirigenti (che preferiscono una tranquilla inefficienza alla adozione di scelte organizzative tanto difficili e contrastate quanto necessarie), ecc. Quali che siano le ragioni prevalenti della situazione, la conseguenza è una diffusa frustrazione e demoralizzazione dei magistrati, ricollegabile anche all'onda lunga della stagione della delegittimazione che abbiamo alle spalle. E frustrazione e delusione non si esauriscono in se stesse ma portano con sé cambiamenti evidenti, in parte già in atto: il ripiegamento impiegatizio, l'affermarsi di una cul-tura burocratica del ruolo, il diffondersi del qualunquismo, l'abbandono della dimensione politica dell'associazionismo e l'emergere di aggregazioni eterogenee fondate sul corporativismo di categoria, lo smarrimento finanche dell'ancoraggio ai valori costituzionali e al pro-getto di cambiamento in essi contenuto. Da ciò - è bene ricordarlo - non verranno certo miglioramenti in termini di effettività dell'intervento giudiziario né risposte adeguate alla crescente complessità della domanda di giustizia... Non bastano a contrastare efficacemente questa deriva né l'asso-ciazionismo giudiziario (indebolito dal disimpegno di alcune compo-nenti, esse stesse contagiate dal qualunquismo) né il sistema dell'autogoverno (minato nella sua credibilità da prassi clientelari, inefficienze e conseguente deficit di autorevolezza). Il Consiglio superiore, in particolare, ha raggiunto alcuni risultati positivi: un confronto impegnativo e non rituale sui temi delle riforme con il Ministro e il Parlamento; un intervento tempestivo ed efficace su alcuni uffici giudiziari in grave sofferenza; la definizione di un nuovo sistema per rendere più veloce e trasparente la disciplina dei trasferimenti; la crescita delle ini-ziative di formazione dei magistrati su alcune questioni calde e drammatiche come quella della sicurezza del lavoro; il contenimento di pericolose conflittualità emerse tra Procuratore nazionale antimafia e Procuratori distrettuali. Ma restano - e prevalgono - difficoltà e carenze evidenti: i ritardi nella nomina dei dirigenti degli uffici (direttivi e semidirettivi), la scarsa effettività del sistema tabellare, la mancata revisione della disciplina dei fuori ruolo e degli incarichi extra-giudiziari, il frequente prevalere - anche in decisioni e nomine di primaria importanza - della logica dell'appartenenza rispetto a quella della competenza (questione che nulla ha a che vedere con il pluralismo ideale e culturale che è il sale dell'autogoverno), e molto altro ancora. I magistrati hanno dunque, in questa situazione, le loro responsabilità, ma non si farebbe un buon servizio alla verità se non si dicesse che le difficoltà della magistratura (e del suo autogoverno) sono acuite, al punto da sembrare insolubili, dalla mancanza di un quadro di riferimento normativo e istituzionale stabile e coerente. Da anni manca di fatto un ordinamento giudiziario condiviso e costituzionalmente orientato. Il vecchio ordinamento non c'è più (e negli ultimi anni era quotidianamente delegittimato); quello approvato nella scorsa legisla-tura (ora in parte sospeso) presenta numerosi dubbi di costituzionalità e altrettanti profili di ingestibilità; il disegno di legge governativo in discussione al Senato procede a rilento ed è agevolmente prevedibile che non sarà approvato entro il 31 luglio. In questa situazione tutto diventa difficile. Di più, se la riforma dell'ordinamento giudiziario non dovesse essere approvata nei termini (con conseguente ripresa della vigenza del sistema definito nella scorsa legislatura) o - come sembra delinearsi mentre questo fascicolo viene licenziato - se dovesse essere ulteriormente ridotta ed emendata (con esiti, in taluni punti, peggiorativi rispetto al testo sospeso), allora l'autogoverno della magistratura sarebbe per mesi paralizzato e la frustrazione dei magistrati supererebbe il livello di guardia.