La nuova stagione della giurisdizione e l’associazionismo dei magistrati
1. Poco meno di un anno fa, abbiamo aperto l'editoriale del n. 1/2007 della Rivista con il rilievo che, per la giustizia, è finita la stagione alta iniziata nei primi anni '90 (pur se restano aperti - devono restare aperti - la prospettiva e il ruolo della giurisdizione ad essa sottesi).
I fatti allora evidenziati hanno trovato, in questi mesi, una pluralità di conferme. Basti ricordare, per tutte, il revival dell'uso politico dell'avocazione (che credevamo definitivamente abbandonato dopo le pessime prove del secolo scorso e la conseguente modifica dell'istituto) o il tentativo del Ministro della giustizia di liberarsi del suo pubblico ministero attraverso una richiesta di trasferimento di ufficio cautelare (quando - imperdonabili ingenui - credevamo di avere toccato il fondo con il cadeau natalizio con cui il guardasigilli padano tentò di assicurare al suo presidente del Consiglio la ripetizione di un processo prossimo a conclusione, negando a un giudice la possibilità di restare nel tribunale competente sino alla conclusione dello stesso).
Ai fatti si è affiancato poi - dato interessante e incoraggiante - un dibattito non rituale nel corso del quale Stefano Rodotà, dopo aver rilevato che il ruolo della giurisdizione è, in Europa e nel mondo, in espansione e che la fase recessiva del nostro sistema è in controtendenza nel panorama internazionale, pone la domanda se la situazione italiana dipenda da cause esterne ovvero se sia proprio «questa magistratura a non volere o a non essere in condizione di rispondere a una esigenza che si riscontra in ma-niera diffusa», accettando «un ruolo burocratico di gestione facendo prevalere il tecnicismo (del quale peraltro, francamente, spesso non si trova traccia nella qualità delle decisioni)» (Il giudice oltre lo Stato, infra, 949 ss.). La domanda è, ovviamente, decisiva per interpretare la fase in atto e per cercare di aprire prospettive diverse da quelle oggi dominanti.
Per darvi risposta questa Rivista ha avviato, anche con la previsione di nuove rubriche, un approfondimento sugli orientamenti giurisprudenziali e sulle prassi in alcuni settori fondamentali dell'intervento giudiziario. Ciò va peraltro integrato con l'analisi - assai poco praticata nel nostro Paese - delle aspettative, delle richieste, della percezione di sé dei magistrati e delle associazioni a cui gli stessi fanno riferimento.
2. Una occasione preziosa in tal senso è offerta dall'analisi dei risultati delle elezioni per il Comitato direttivo dell'Associazione nazionale magistrati svoltesi dall'11 al 13 novembre scorso. I risultati ufficiosi sono stati resi noti proprio mentre questo fascicolo sta andando in stampa ed è, dunque, possibile solo un primo commento a caldo (utile, in ogni caso, a co-gliere qualche linea di tendenza).
In sintesi: hanno votato 7175 magistrati su 8512 aventi diritto (con una flessione di 184 votanti rispetto alle precedenti elezioni del 2003, in cui, peraltro, il corpo elettorale era lievemente superiore); 2753 voti (+ 256 rispetto alle precedenti elezioni) sono andati al gruppo di Unità per la costituzione, 1716 (+ 335) a Magistratura indipendente, 1582 (- 394) a Magistratura democratica, 1003 (- 424) alla lista Movimento per la giustizia-Articolo 3 (che, nelle precedenti elezioni associative si erano presentati separatamente). Dunque, i consensi dei magistrati sono andati nella misura del 38% a Unità per la costituzione, del 24% a Magistratura indipen-dente, del 22% a Magistratura democratica e del 14% al Movimento-Articolo 3 (con una incidenza minimale delle schede nulle e bianche). Complessivamente le componenti moderate della magistratura hanno raccolto i consensi del 62% dei magistrati, mentre quelle progressiste si sono fermate al 36%, perdendo 818 voti netti e oltre il 10% del consenso elettorale. È stata così sovvertita la geografia politica della magistratura che, nel 2003 vedeva i due schieramenti su un piano di sostanziale parità (rispettivamente al 53% e al 47%). Dei 36 seggi del Comitato direttivo, 14 (+2) sono stati conquistati da Unità per la costituzione, 9 (+2) da Magistratura indipendente, 8 (-2) da Magistratura democratica e 5 (-2) da Movimento-Articolo 3. Il simbolo del cambiamento sta nel sorpasso di Magistratura indipendente nei confronti di Magistratura democratica. Si aggiunga che il sovvertimento, lungi dall'essere un fulmine a ciel sereno, era, in qualche misura, annunciato, posto che già nelle elezioni del luglio 2006 per il Consiglio superiore della magistratura - in cui non è possibile, dato il sistema elettorale, indicare i consensi precisi di ciascun gruppo - i candidati di Unità per la costituzione e di Magistratura indipendente avevano conquistato nove seggi (6+3) contro i sette di Magistratura democratica e di Movimento-Articolo 3 (4+3).
3. Si tratta di un risultato netto e chiaro, da cui è possibile già in prima battuta trarre almeno una indicazione sugli umori e sugli orientamenti dei magistrati.
Al risultato hanno certamente concorso fattori diversi (tra cui contingenti difficoltà o errori di questa o di quella componente associativa) ma c'è un dato che spicca sugli altri e che è il segno di queste elezioni, anche alla luce della campagna elettorale che le ha precedute. Schematizzando: c'è una parte della magistratura che ha come riferimento (lo ha detto esplicitamente, facendone il nucleo forte della propria proposta politica) le esigenze dei magistrati e il mantenimento dello status quo e c'è un'altra parte che ha come riferimento (pur, talora, con deficit di coerenza e rigore) le esigenze della società e la realizzazione del progetto di eguaglianza ed emancipazione dei cittadini previsto dall'art. 3 Costituzione. Ovviamente la linea di demarcazione tra le due posizioni non è sempre così netta, è frastagliata e passa (anche) all'interno dei gruppi associativi, ma non è difficile individuarla sol che si leggano i programmi elettorali (quando ci sono ché, per alcuni, sono ormai stabilmente sostituiti da tam tam telefonici e da feste dei candidati) o i messaggi sulle varie mailing list. È - in forme nuove o vecchie - la differenza di sempre tra destra e sinistra (che permane e, forse, si accresce, ancorché negata dai più, nell'epoca del "pensiero debole" spesso degradato a "pensiero unico"). Oggi - non per una destino "cinico e baro" - ma per ragioni precise, esterne e interne alla magistratura, prevalgono le idee e i progetti della destra. Non per caso. Gli apparati burocratici (a cui sociologicamente appartiene la magistratura) non sono mai stati progressisti e la loro originaria vocazione tende a riemergere nelle situazioni di scarsa tensione come quella attuale: i voti "di opinione" sono mobili e facilmente si spostano con il mutare del quadro politico (e non occorre spiegare qui la differenza tra la stagione dell'attacco scomposto della destra alla giurisdizione e quella delle speranze deluse della prima fase dell'attuale legislatura...).
4. Che fare in questa situazione?
Come accade nella politica tout court, le reazioni possibili per le componenti progressiste della magistratura sono di segno diverso e oscillano tra i due opposti poli del cambiamento purchessia alla ricerca di un consenso fine a se stesso e dell'arroccamento rancoroso (sdegnato per l'incomprensione degli elettori). Sono, entrambi, atteggiamenti inadeguati e, più o meno consapevolmente, consolatori. Ciò che sta accadendo - e le elezioni associative sono soltanto una tessera del mosaico - è una trasformazione culturale profonda del ruolo della giurisdizione (e delle richieste che lo supportano), della collocazione sociale della magistratura, della percezione di sé e della propria funzione che hanno i magistrati. Problemi di grande momento, a fronte dei quali occorre confrontarsi e scontrarsi non già - o non tanto - sui contenitori (le caratteristiche dei gruppi associativi) ma sui contenuti.
novembre 2007