Leopoldo Elia. Un impegno per la Costituzione
Il 5 ottobre è mancato Leopoldo Elia. È stato studioso e maestro di generazioni di giuristi, presidente della Corte costituzionale, parlamenta-re, ministro, ma soprattutto - così ci piace ricordarlo - appassionato e instancabile difensore della Costituzione repubblicana, dei suoi valori, dei suoi principi.
Nel commemorarne la figura, Gustavo Zagrebelsky ha sottolineato il valore e il senso profondo dell'intreccio tra attività di studio e impegno politico alto, segnalando come «la Costituzione non vive di forza propria» e «se non è sostenuta da una politica conforme, è davvero solo un pezzo di carta, come purtroppo oggi rischia di diventare». Orbene, la sto-ria di Leopoldo Elia ci parla di un impegno costante per evitare, appunto, la riduzione della Costituzione a documento, tanto celebrato a parole quanto disatteso nei fatti. Di qui la sua presenza attiva anzitutto per realizzarne il disegno, poi per difenderla dagli stravolgimenti minacciati e, sempre, per diffonderne, a tutti i livelli, la conoscenza.
Nella riflessione e nell'impegno sulla e per la Costituzione, Elia è stato, anche per questa Rivista, un Maestro: fonte costante di insegnamenti e stimoli ed anche, talora, collaboratore acuto e battagliero. In ultimo questa collaborazione si è tradotta nello scritto La riforma dell'ordinamento giudiziario: brevi considerazioni di un costituzionalista, pub-blicato nel fascicolo n. 4 del 2004, nel pieno di una delle ricorrenti iniziative parlamentari tese a incidere, limitandolo, sull'indipendente eser-cizio della giurisdizione. Di quello scritto ci piace riportare qui alcuni stralci, oggi attuali come allora.
«È necessario vigilare affinché, contro Costituzione, non si pervenga ad una espropriazione dei poteri del Csm, come configurati anche dal-la giurisprudenza costituzionale. (...) Sono paradossali le norme previste sulle limitazioni (addirittura in sede disciplinare) alla interpretazione della legge da parte dei giudici. Del resto è già prevista la possibilità di considerare illecito disciplinare l'emanazione di atti o provvedimenti abnormi. Proprio in un epoca in cui la molteplicità delle fonti rende difficile la stessa individuazione della norma applicabile alla fattispecie giudicanda si vorrebbe tornare a una sorta di réferé législatif: proprio in un tempo in cui la Corte costituzionale sanziona con la inammissibilità le questioni sollevate dai giudici che non abbiano esplorato tutte le possibilità di utilizzare una interpretazione adeguatrice alla Costituzione della norma supposta in costituzionale. Effettivamente un tempo in cui si giustifica maggiormente l'invito del giurista romano è il nostro: ut non ex regula jus sumatur sed ex jure quod est regula fiat. Il sistema normativo si difende con le impugnazioni e non con opinabilissime ricerche (com-piute da chi?) sul grado di creatività dell'interpretazione giurisdizionale. (...)
È necessario superare i dubbi di costituzionalità posti dalla normati-va approvata dal Senato circa l'osservanza degli articoli 101, comma 2, 104, 105, 107, comma 4, Costituzione in modo che possa essere risolto il dilemma che si pone a chi legge questo farraginosissimo e singolarissi-mo progetto di legge delega: è un serio tentativo di modernizzazione della giustizia o un anacronistico ritorno a una fase precostituzionale? Sulle tracce di A. Pizzorno, Gaetano Silvestri osservava recentemente: "Sarebbe saggio aspettare tempi più sereni. Solo in tal modo si potrebbero affrontare gli interessi ‘duraturi' dei cittadini sottostanti alla giurisdizione e all'ordinamento giudiziario. In caso contrario, si identificherebbe la sovranità popolare con necessità contingenti di singoli o di gruppi, sorretti da maggioranze parlamentari altrettanto contingenti. Forse sarebbe utile che coloro che detengono la maggioranza pensassero più spesso alla possibilità, realistica in un ordinamento democratico, di diventare minoranza e di aver bisogno domani di quelle garanzie di indipendenza dei giudici dal potere politico che si pensa allegramente di cancellare oggi".
In conclusione, credo di poter aderire ad una linea di ispirazione liberaldemocratica: è preferibile affrontare i rischi della molteplicità non programmata che essere schiacciati dal peso dell'uniformità prestabilita».