Intervento di Gianfranco Gilardi

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1. Cari amici, è giunto il momento di mettere da parte le delusioni e di guardare avanti.

Ciò che emerge dal dibattito non è la contrapposizione tra due modi di intendere il ruolo di M.D., ma l’invito a considerarli entrambi facendoli convergere in una sintesi unitaria. Affiora l’immagine di colleghe e colleghi che chiedono di poter svolgere dignitosamente il proprio lavoro, nella certezza di contare su condizioni organizzative adeguate, su uno sviluppo della vita professionale presidiato da regole certe ed effettivamente applicate, su tempi di ricongiungimento non vanificabili da ritardi o scorrettezze, su un contesto capace di distinguere i meritevoli dagli incapaci e di non far sentire in colpa quando il ruolo resta scoperto per ragioni di maternità, con organi del governo autonomo dediti, al centro ed in periferia, a svolgere in modo rigoroso ed imparziale i propri compiti, con dirigenti impegnati a difendere l’indipendenza degli uffici da ogni interferenza e nell’assicurare le regole di buona amministrazione, con l’opera di tutti i magistrati nell’essere custodi e garanti dei propri doveri. Non importa se M.D. su questi temi è già presente più di quanto non venga percepito. Prendiamo atto che ciò che si chiede è di esserlo ancora di più, e di fare in modo che la maggiore attenzione all’attività negli uffici, al quotidiano dei magistrati spesso impegnati in condizioni difficili e di isolamento, a quelle “regole rovesciate” di cui ha parlato Emilio Sirianni nel suo intervento, si veda e si senta.

In tutto questo non vedo insofferenza verso chi ritiene che si debba continuare a parlare di diritti, di società, di Europa, di immigrazione. Vedo la richiesta di far procedere insieme l’analisi teorica e l’attenzione al contesto concreto, saldando in un unico percorso qualità della giustizia e responsabilità dell’organizzazione, per far sì che i diritti non restino semplicemente proclamati ma possano essere realmente garantiti.

Di qui anche la sottolineatura di non stancarsi di puntare il dito sulle promesse mancate della politica e sulla sua perdurante tendenza “ad individuare l'intera magistratura quale corpo inefficiente, responsabile principale (se non esclusivo) dello sfascio e delle disfunzioni del sistema giustizia”, e a non mostrarsi mai arrendevoli “ di fronte alla necessità di garantire riforme autentiche e profonde del sistema giustizia”, riportando in primo piano le ragioni della complessità contro la logica dell’improvvisazione, con interventi che tornino a mettere al centro della preoccupazione i bisogni insoddisfatti di giustizia e valgano finalmente a superare l’emergenza, non a perpetuarla con la moltiplicazione di riti processuali o la riedizione di infauste “sezioni stralcio”.

 

2. Del progetto entro cui si chiede di ricollocare il pensiero politico e l’azione pratica di M.D. sono parte essenziale l’impulso che continueremo a dare agli Osservatorii ed ai protocolli, affinché diventino una rete sempre più fitta dell’autogoverno materiale, responsabile e partecipato, senza con questo trasformarsi in un totem identitario che rende inutili o assorbe altre esperienze associative; il lavoro che saremo capaci di svolgere dentro l’ANM per far sì che essa sia una presenza viva ed attiva nelle realtà dei singoli uffici, specie dove sono più gravi le difficoltà della giustizia; la capacità di intercettare non solo le domande, ma anche i silenzi della magistratura; il confronto sulle prassi e sugli orientamenti giurisprudenziali come metodo per far crescere una sensibilità comune riguardo ai temi della giustizia; la valorizzazione dei consigli giudiziari quali anelli di un decentramento efficace ed effettivo; la formazione professionale e la diffusione delle esperienze positive; il dovere di non chiudere gli occhi, con riguardo ai provvedimenti tabellari, nei pareri di professionalità, nella vita quotidiana degli uffici, sui fenomeni di inefficienza, di malcostume e disimpegno, che purtroppo non mancano e che non di rado per colpa di pochi espongono al discredito l’intera la magistratura.

Essenziale per il buon esito di questa linea sarà un metodo di discussione capace di promuovere il più ampio coinvolgimento e di trarre forza dalla pluralità degli apporti, riconducendo a tale contesto anche la questione delle “alleanze” da far maturare giorno dopo giorno – nelle liste, nei luoghi di discussione, negli organismi istituzionali, nei gruppi di lavoro, sulle riviste e sugli strumenti di informazione: vorrei dire, anche nelle designazioni degli organi rappresentativi - in un lavoro di ricerca paziente, sincera e scevra da diffidenze il cui traguardo è costruire sensibilità ed aggregazioni più ampie dentro l’intera magistratura e nell’interesse della giurisdizione.

 

3. Tutto ciò nella consapevolezza che il fine resta pur sempre, appunto, l’esercizio della giurisdizione, non l’organizzazione, che a quel fine è strumentale e ad esso deve adeguarsi. Come si legge in un documento che ha preceduto il congresso, in un contesto in cui “per tutta una serie di questioni, a cominciare da quelle “esistenziali” sul diritto ad unirsi liberamente fuori dal matrimonio o a morire con dignità e senza soffrire, non è prevedibile una soluzione generale, con lo strumento della legge, la risposta giudiziaria a singole vicende avrà un ruolo sempre più importante” e decisivo.

E’ qui, allora, che ritorna il nostro essere stati e il nostro essere di M.D. Lo dico non soltanto con orgoglio e commozione, pensando a tanti amici scomparsi che ci hanno insegnato con l’esempio che occorre esser capaci di coniugare parole e fatti, ma perché avverto il dovere di farlo di fronte al rischio che un’idea palingenetica dell’organizzazione possa portare a una deriva di efficientismo cieco e senza volto.

I compiti che ci attendono non sono meno urgenti di quelli che ci hanno visto impegnati in più di quarant’anni, e che ci spinsero fin dall’inizio a prendere sul serio la Costituzione con tutto ciò che la Costituzione implicava per le libertà civili e democratiche, l’uguaglianza di fronte alla legge, i diritti dei lavoratori, la tutela della salute e della sicurezza nella fabbrica e fuori, gli interessi diffusi e collettivi, la revisione del sistema penale e carcerario, la difesa delle garanzie anche nell’emergenza, l’impegno per la pace, la democratizzazione dell’apparato giudiziario e delle sue regole. Il valore fondativo del principio di soggezione del giudice solo alla legge, con i suoi effetti dirompenti rispetto al conformismo, alla gerarchia, alla falsa neutralità del diritto, alla apoliticità intesa come dipendenza e passività culturale e come consonanza al potere politico dominante costituì il ponte che apriva il diritto all’esterno, verso la società e i suoi bisogni di giustizia, fu la premessa su cui innestare la denuncia delle norme illiberali e che favorì - anche mediante la critica e la discussione dei provvedimenti giurisdizionali - la crescita dell’indipendenza e la sburocratizzazione della funzione giudiziaria.

In questa tensione a fa sì che i diritti, soffocati e nascosti nelle pieghe dell’ordinamento giuridico, riuscissero a trasformarsi in poteri effettivi di uomini e donne nella vita di ogni giorno, resta il nucleo inconfondibile e irrinunciabile della giurisdizione. Richiamare la politicità della giurisdizione, con tutta la carica di impegno che essa comporta per il magistrato democratico, appare tanto più doveroso in un contesto che demanda proprio ai giudici – come ha sottolineato Stefano Rodotà – il compito di risolvere le più gravi e difficili questioni di diritto poste dal mutamento dei costumi, dalla scienza e dalla tecnica, non per effetto di supplenza, ma come carattere immanente di un ordinamento che fonda la propria vitalità e la propria funzione regolativa proprio sull’opera di mediazione dell’interprete come tramite per rendere effettivo un sistema di fonti che può essere colto nel suo significato solo cogliendo i nessi ed intrecciando i diversi livelli che lo compongono.

Credo che questo compito, il cui svolgimento impone anche il dovere di organizzare il lavoro avendo di mira la scala dei valori costituzionali e rende impensabile la possibilità di effettuarlo con l’opera solitaria del singolo giudice, rappresenti tutt’ora la stella polare di una giurisdizione volta ad affermare nei fatti i diritti fondamentali di tutti ed a far sì che l’intero ordinamento giuridico, nella società globale e multietnica, venga rimodellato come luogo di inclusione e di convivenza, e costituisca il ponte verso lo spazio giuridico comune cui è affidata la speranza di bilanciare l’Europa dei mercati con quella dei diritti e delle libertà.

Anche rispetto a ciò sarà importante la capacità di lavorare collettivamente, lo “spirito di gruppo” che si rafforza per mezzo del confronto diretto e trasparente mentre deperisce e si disperde, facendo perdere consenso, con le i personalismi, le permalosità, i risentimenti, le astuzie tattiche, il lavorio sotterraneo dei corridoi; conterà di tenere uniti i vari pezzi e di portare avanti, nel riconoscimento dell’utilità di ciascuno e senza intolleranze, i progetti che sapremo ancora immaginare come un'azione positiva per la giustizia e come un sostegno per il nostro difficile lavoro.

Nel ringraziare il segretario e tutto il gruppo dirigente per il lavoro impervio e appassionato che hanno saputo svolgere nell’interesse di tutti, è questo l’augurio che rivolgo a Magistratura Democratica, con l’auspicio che l’offerta di impegno proveniente dal nuovo che avanza trovi espressione nella dirigenza che prenderà il posto di quella uscente, e che quanti tra noi da più tempo si aggirano dentro M.D., diventando nel frattempo non solo padri, ma anche nonni, continuino a dare il proprio contributo nella consapevolezza che in qualunque staffetta anche il passaggio del testimone fa parte del gioco di squadra.

Cari amici, torniamo ad essere uniti e cerchiamo di uscire dal congresso con un sorriso.

 

Gianfranco Gilardi

 

13 02 2007
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