I diritti, la nostra forza
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- Ihering (La lotta per il diritto ) evoca le emblematiche vicende di Michael Kohlaas, il patetico personaggio che ha dato il nome al libro de Von Kleist. Michael Kohlaas vittima di un grave abuso di potere, con fiducia, va dal giudice in tutte le istanze possibili. Ma queste, invariabilmente, prevaricano, e non trova nessuna riparazione. E' per questo che fa la scelta tragica di mettersi fuori legge, di farsi bandito. Interrogato sul perch della sua condotta, spiega che non avendo trovato protezione dalla legge si considera «cacciato via dalla comunità». E aggiunge: «Chi mi nega la protezione della legge, mi lascia nella compagnia dei selvaggi e mette nella mia mano la spada con la quale proteggere a me stesso».
A me pare che il dramma di Michael Kohlaas ha uno stretto rapporto col tema di questo congresso.
Per esperieza e per teoria sappiamo bene come la forza dei diritti si radica nel fatto che solo il loro vigore effettivo ci rende persone a pieno titolo, in quanto mette ai poteri nel loro posto.
Ihering ha visto nel personaggio di Von Kleist un esponente emblematico de La lotta per il diritto , in quanto il diritto – nelle sue parole - è «la condizione morale di vita della persona» e «richiede un impegno constante per la sua affermazione» dato che nessun diritto si acquista e si mantiene senza sforzo.
Dove Ihering dice «diritto» oggi noi diremmo «diritti». Con questa trasposizione concettuale l´essempio di Michael Kohlaas conserva tutta la sua validità come paradigma e tutta la sua carica pedagogica e di poderosa ragione per l´azione.
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Nei diritti c´è la chiave della risposta alla domanda niente retorica, che – da Agostino d´Ippona fino a Kelsen - percorre la storia del pensiero politico. Parlo della domanda su come distinguere lo Stato in quanto apparato di potere da una banda di ladri. Diverse risposte sono date tante, ma Luigi Ferrajoli ci ha fatto vedere bene come la forma Stato di diritto e la forma banda di ladri sono cose diverse soltanto quando esistono limiti efficaci di diritto -cioè di diritti - contro la legge del pi forte.
Perche i diritti fondamentali sono l’unica e vera legge del pi debole.
Questa è una legge il cui vigore, purtroppo, trova oggi tantissime difficoltà dappertutto. Anche nei nostri paesi. E ancora di pi dopo che l´11 settembre si è convertito in espansiva e perversa fonte di diritto... Un diritto che ha la sua pi efficace espressione negli ingabbiatti di Guantanamo (tanto che, vien da dire: se l´11 settembre non ci fosse stato, bisognerebbe inventarlo).
Troppa legalità, troppo diritto, troppi diritti, troppa garanzia giurisdizionale, insomma, troppa costituzione, è divenuta la parola d´ordine che arriva dalla politica in atto nelle nostre realtà. La protesta – come prima, come sempre - viene fatta in nome della legittimità della politica e del suo bisogno di uno spazio proprio. A quanto sembra, non c´è spazio: la Costituzione e il codice penale sono limiti troppo stretti. Dicono loro.
Questa protesta si concreta – adesso apertamente - nella domanda di un costituzionalismo a basso profilo. Di uno stato di diritto a costituzione minima. Costituzione? Si, certo, ma flessibile, poco esigente quando si trati di pattegiare con la realtà.
Una realpolitik senza complessi è tutta la costituzione materiale di cui si ha bisogno. Cosi, costituzione morbida, aperta a qualumque lettura realista da parte dell´unico legittimo interprete: ogni eventuale maggioranza, meglio se mediaticamente gestita.
In questo discorso la rigidità non sparisce, si sposta: dalla parte dommatica della costituzione, dalla garanzia dei diritti, alla frontiera della politica. E' questa frontiera che deve essere rigida, sopratutto di fronte al diritto e al giudice, in modo da far sì che la politica risulti impermeabile a qualunque controllo di legalità.
Giudice? Ovviamente, ma senza costituzione. Giudice di legge ordinaria e organizzato nella forma piu adatta al nuovo paradigma, che richiama il retorno alla carriera burocratica.
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La partita si gioca dappertutto. E la prova migliore si trova nella internazionale dei dannegiatti dalla giurisdizione che oggi percorre l´Europa, che fino a poco tempo fa è stata quella dei processi per corruzione e domanda un nuovo costituzionalismo alla sua misura.
Anche da noi, in Spagna, è cominciata con vigore la caccia al giudice scomodo; e si fa palese l´insofferenza per le garanzie.
Ma la partita si gioca sopratutto in Italia. Qui è il vero rischio perch qui ci sono la migliore cultura e il migliore disegno costituzionale della giurisdizione come garanzia dei diritti, che sono stati e continuano a essere per tutti gli altri paesi un vero punto di riferimento. E per quello che perdere qui sarebbe perdere dappertutto.
Il rischio è tanto piu grave in quanto la sfida non è politica nel senso buono, cioè costituzionale e civile. Infatti, ci troviamo di fronte a una svolta che va avanti in grande misura – lo sapete bene - fuori, quando non contro, le istituzioni, sopratutto quelle di garanzia, in particolare, la giurisdizione.
E' per questo che l´interrogativo di Agostino e di Kelsen è pieno di senso e di attualità. Per quanto so, particolarmente in Italia.
Ma bisogna stare attenti: il neomodello – l´antimodello - italiano che si prospetta ha una grande capacità di contagio. Dopo la esperienza di questi ultimi anni sappiamo bene che l´esistenza di una giurisdizione che occupi in modo pieno il suo spazio costituzionale è condizione sine qua non di democrazia. Perch non ci sono cittadini con diritti, vera democrazia, dove non ci siano veri limiti di diritto di fronte alle piu gravi deviazioni del potere politico.
E' per questo che non basta un platonico giudice nella retorica Berlino di Federico II. Il vero bisogno – per dirla con Cordero - è di «giudici a Milano»: giudici soggetti soltanto alla legge costituzionalmente valida. Bravi nel disubbidire a tutto quello che non sia la legge, per usare la efficaccisima formula de Pino Borr.
Il momento è di alto rischio, di vero rischio di tornare molto indietro. Il momento presente è di vera resistenza costituzionale. Di resistenza costituzionale contro i tentativi di ridimensionare il ruolo del potete giudiziario, di depotenziare l´indipendenza del giudice in quanto organo del diritto e garante dei diritti. Ma anche di resistenza contro il pericolo di slittamento di noi giudici in una sorta di vittimismo, di difesivismo autoapologetico di stampo corporativo. Non tutto quello fatto da noi o in nome della giurisdizione va difeso acriticamente.
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I valori nei quali crediamo non ammettono attenuazioni congiunturali n atteggiamenti emergenzialisti o parziali da parte nostra.
Dobbiamo farci forti nella difesa e, sopratutto, nel rispetto dei valori costituzionali a rischio, con forte convinzione autocritica e alta tensione sul piano della profesionalità nelle nostre prassi. Come ieri, come sempre, convincere con la qualità del nostro lavoro, con la razionalità della denuncia e con la autenticità della nostra militanza culturale, è per noi la unica strategia praticabile.
24 01 2003
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