L'intervento al Congresso di Venezia dell'Anm

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1. La condotta da tenere in un confronto che si preannuncia lungo e difficile

 

Giunti a questa fase della riflessione collettiva io non spenderò più una sola parola per descrivere ciò che sta accadendo alla giurisdizione e ai giudici. Tutto questo è stato già vividamente, efficacemente rappresentato in tanti interventi del congresso.

Mi interrogo invece sul livello cui è giunto nel nostro paese il conflitto sulla giurisdizione e sulla linea di condotta da seguire.

Le risposte che daremo su questi due punti saranno straordinariamente impegnative, ci chiameranno in causa direttamente e personalmente non solo nel prossimo futuro ma anche negli anni a venire.

Per parte mia dico che dobbiamo essere molto rigorosi nell'analisi e nella denuncia e molto attenti ed equilibrati nella risposta. Perché questa è la linea di condotta che meglio si addice ad un confronto lungo, duro, che non si risolverà nello spazio di qualche mese.

 

 

2. Uno strano seguace di Galileo

 

Che si tratterà di un confronto aspro, segnato da durezze e da incomprensioni, ce lo ha ricordato ieri - forse involontariamente, forse inconsapevolmente - il ministro Castelli.

Il Ministro - voi lo ricorderete - si è autodefinito un seguace di Galileo ed ha snocciolato dati e cifre, muovendosi in continuazione - con sorprendente agilità - da un ramo all'altro dell'amministrazione e del bilancio.

Lasciatemi dire che lo trovo uno strano seguace di Galileo.

Un seguace di Galileo non pretende di essere "scientifico" citando dati sparsi ed a brandelli senza tentare di darne uno straccio di spiegazione; non compara - senza neppure un accenno di ragionamento - numeri ed informazioni relativi ad anni lontanissimi tra di loro; soprattutto non sorvola, con incredibile leggerezza, sulle "cause" dei fenomeni che dovrebbe controllare.

Un seguace di Galileo - soprattutto se gli è accaduto di divenire Ministro della Giustizia - ha il dovere di porsi e di porci domande all'altezza dei problemi da affrontare.

Ad esempio deve interrogarsi sul nesso che c'è tra la durata dei procedimenti ed i codici di procedura e di capire che se - a mezzi invariati o ridotti - si dilatano gli adempimenti e le procedure, gli effetti si scaricano inevitabilmente sui tempi del processo. E deve inoltre spiegare perché, se le cose stanno migliorando nel settore della giustizia civile, vuole varare una riforma del processo civile che ne allungherebbe i tempi. .

Un Ministro della Giustizia ha il dovere di chiedersi "perché" le spese di intercettazione sono aumentate, di ragionare sulle difficoltà di acquisire testimonianze in dibattimento sulla mafia o sul terrorismo, di riflettere sulla indispensabilità delle molte intercettazioni.

Un Ministro della Giustizia non deve venirci a fare l'elogio della posta elettronica quando con l'altra mano sta lesinando i soldi per l'informatizzazione.

L'elenco degli esempi concreti potrebbe continuare a lungo ma il Ministro ha parlato oltre quaranta minuti ed io non ho il tempo di farlo.

Dico allora - in sintesi - che un Ministro della Giustizia dovrebbe risolvere i problemi complessi dell'amministrazione di cui è politicamente responsabile e non limitarsi a suggerire che se le cose non funzionano, in fondo la colpa è tutta dei magistrati " che perciò sono gli unici da riformare se si vuole che tutto sia risolto.

 

 

3. Riforma della giustizia o progetto di cambiare giudici?

 

In realtà il discorso del Ministro ci ha ricordato la vera, l'unica priorità di questo governo e della sua maggioranza: la riforma dell'ordinamento, la riforma dei giudici "

Quasi per dovere di ufficio, leggo e rileggo la riforma dell'ordinamento giudiziario da oltre due anni. Ne sono stato uno dei primi lettori, al CSM, come presidente della Commissione incaricata di redigere il primo parere dell'organo di autogoverno e so bene che da allora il testo è stato - se possibile - drasticamente peggiorato, senza peraltro che il Ministro abbia detto una sola parola.

Ebbene, proprio seguendo passo passo l'itinerario della riforma mi è divenuto chiaro il filo conduttore di tante norme che a prima lettura mi erano sembrate solo anacronistiche o bizzare o astruse.

Questo filo conduttore è il proposito di cambiare - non le regole - ma gli "uomini". Cambiare le "donne" e gli "uomini" che amministrano giustizia, trasformare le "persone" dei magistrati, anche a costo di alterare - sino a renderla irriconoscibile - la loro funzione.

E' sempre una ambizione funesta, per una legge, quella di voler cambiare non le regole, non le strutture, non le procedure ma gli esseri umani.

Ma è proprio a questo scopo che la legge è zeppa di meccanismi di condizionamento e di controllo - si badi - non sull'operato ma sulle "persone" dei magistrati e dei giudici: la carriera, la gerarchia, la disciplina che invade la vita privata e delimita gli spazi di partecipazione alla vita collettiva.

Il cuore della riforma sta qui.

Ed è per questo che essa cozza ad ogni passo contro la Costituzione, come tanti di voi hanno ricordato.

Gli autori della Costituzione avevano sperimentato sulla loro pelle gli effetti di giudici obbedienti e condizionati, avevano visto gli effetti di una concezione dello Stato come monolite politico, che non tollera una giustizia e dei giudici realmente indipendenti. Per questo hanno ripristinato insieme le libertà dei cittadini e delle associazioni e l'indipendenza del potere giudiziario.

Ma se oggi lo Stato ritorna ad essere concepito come un tutto da dirigere come una azienda, ecco che i magistrati - soggetti solo alla legge e perciò indocili ai comandi personali - tornano ad essere considerati un intralcio.

Nello Stato che si aspira a dirigere come una azienda, al massimo c'è posto per dei dipendenti, per dei soci, per dei revisori dei conti più o meno compiacenti.

Gli altri sono dei diversi""

 

 

4. Lo Stato e la giurisdizione non sono "aziende" ma grandi "imprese collettive"

 

Il fatto è che lo Stato, la giurisdizione non sono "aziende" " ma grandi "imprese" umane. Imprese umane collettive che devono produrre - grazie ad un'azione comune, condivisa, grazie ad un sforzo poderoso e costante - beni che si chiamano libertà, giustizia, eguaglianza, benessere materiale e morale "

E devono produrre questi beni per tutti, anche per coloro che hanno poco più dello status di cittadini, per quei cittadini "sottoprotetti" che hanno bisogno dell'azione uguagliatrice dello Stato e della giustizia. E' della tutela di questi cittadini che ha parlato Livio Pepino - riprendendo esplicitamente gli scritti e l'insegnamento di un indimenticato maestro come Pino Borrè - nello scritto che il Ministro ha citato indicandolo come un esempio di partgianeria giudiziaria.

La mia opinione è che per l'impresa del rendere giustizia serve altro che la proposta del governo e della sua maggioranza.

Per l'impresa del rendere giustizia in tempi ragionevoli - la grande promessa dell'art. 111 della Costituzione - noi possiamo e dobbiamo mettere in campo tutto il nostro impegno, andare ben oltre quella "ragionevole intensità di lavoro" che la Costituzione ci chiede per realizzare la ragionevole durata dei processi.

Ma c'è bisogno di capire e di affrontare i problemi veri, strutturali, della giustizia italiana, di superare il conflitto irrazionale, di creare un nuovo clima meno turbato intorno alla giustizia, di ricercare obiettivi condivisi.

C'è bisogno di una intelligenza e di una capacità politica di soluzione dei problemi di cui non vediamo ancora i segni.

Non siamo contro la politica, anzi siamo qui ad invocare una buona politica della giustizia che nel nostro paese io ancora non vedo.

 

 

5. Come dobbiamo muoverci?

 

Come dobbiamo muoverci in questo contesto?

Questa è la seconda domanda.

In primo luogo, io credo, mettendo in gioco l'unica risorsa che abbiamo - noi stessi - ammettendo ed emendando alcuni nostri errori e traendo da questa critica proposte nuove, che siano alternative tanto alla riforma del governo quanto allo stato di cose esistente

Indico molto seccamente (perché voi sapete di che cosa parlo) quelli che io giudico tre errori nostri e le proposte nuove che possono nascere dalla loro correzione.

 

Primo punto.

Abbiamo avuto ed oggi ancora abbiamo il migliore strumento di selezione della magistratura - quello che chiamiamo selezione negativa e che consiste nell'allontanamento di quanti sono divenuti inidonei alla funzione - e non lo facciamo funzionare bene. La proposta sulle valutazioni di professionalità è un passo serio, importante ma, a mio avviso, dobbiamo andare oltre. Io credo che dobbiamo proporre che - ferma restando la competenza e la responsabilità del CSM per le decisioni finali - possano esserci sedi ed istanze di controllo tecnico sulla permanente idoneità professionale gestite da magistrati e da tecnici del diritto non magistrati.

 

Seconda questione aperta

Siamo governati da una gerontocrazia. A volte con risultati splendidi, a volte con risultati assai meno brillanti. Dobbiamo ridurre il peso dell'anzianità nell'accesso agli incarichi direttivi e semidirettivi, ad esempio proponendo che determinati livelli di anzianità siano "requisiti di accesso" ai concorsi direttivi ma non "requisiti preferenziali" che finiscono con il divenire decisivi. Ed in quest'ottica siamo noi a chiedere una seria temporaneità degli uffici direttivi diversa dalla carriera direttiva attraverso trasferimenti disegnata nel ddl governativo.

 

Terzo tema su cui occorrerà avere più coraggio.

Dobbiamo comprendere che solo accettando, senza frapporre troppo tenaci resistenze, una regola di effettiva temporaneità di tutti i compiti giudiziari - penso a limiti di dieci, dodici anni - possiamo credibilmente opporci anche alla separazione delle carriere. Il CSM si sta muovendo in queste direzioni e noi dobbiamo aiutarlo a procedere più speditamente su questa strada.

 

Riempiamo la nostra protesta di queste ed altre proposte costruttive, alternative al disegno del governo ed allo stato di cose attuale e saremo - io spero - più forti e credibili nel rifiuto del progetto del governo e della sua maggioranza e nella protesta sacrosanta contro questo progetto.

Con questa sola avvertenza: come singoli cittadini possiamo e dobbiamo levare lo sguardo alle complessive vicende istituzionali del paese.

Ma come associazione di magistrati il nostro impegno primo e più importante è restare ben dentro le questioni della giustizia, piantati nella realtà della giurisdizione, per salvaguardarne i valori essenziali.

E' questo il bene che ci è stato affidato e difenderlo è l'apporto più alto e forte che possiamo dare anche per salvaguardare il modello di democrazia voluto dalla nostra Costituzione.

09 02 2004
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