1. Questo intervento - frutto della
riflessione congiunta del coordinamento dei giudici del lavoro
dell’ANM, dell'Associazione Forense del Lavoro e di Iniziativa
Democratica Forense - muove dalla considerazione che, se una
giustizia efficiente non può che essere un patrimonio
condiviso della collettività, lo è ancor di più
nello specifico del processo del lavoro, destinato ad avere
un’incidenza notevole nella vita e nella realizzazione di
diritti fondamentali delle persone, analogamente a quanto avviene in
tutti gli altri settori della giustizia civile (ambiente, famiglia,
patrimonio, impresa, consumi, condominio, ecc.); si tratta di
un’incidenza molto più rilevante, a causa della quantità
e dell'estensione degli interessi coinvolti, di quanto non accada nel
settore penale, destinato ad avere peso, sia pure in modo talvolta
drammatico, nella vita e negli interessi specifici di un ambito di
persone molto più ristretto.
2.
Di fronte alle disfunzioni, talvolta enormi, che caratterizzano da
anni l’amministrazione della giustizia del lavoro, che soffre,
ad es. in molte realtà meridionali, di tempi “irragionevoli”
di durata, gli operatori del diritto non sono rimasti inerti e in più
occasioni hanno effettuato analisi approfondite e razionali proposte
di intervento. Nessuna di essa è mai stata presa in seria
considerazione in nessuna delle sedi competenti. Gli interventi
legislativi dell’ultimo decennio, come è stato asserito
anche da altre organizzazioni, sono stati peraltro caratterizzati:
a. dalla
progressiva attribuzione di sempre più rilevanti ambiti di
giurisdizione a forme di gestione del conflitto affidate a
magistratura non professionale, ovvero, cosa ancora più grave,
ad autorità amministrative estranee al circuito della
giurisdizione, prefigurando ed incentivando il prevalente ricorso ai
sistemi alternativi di conciliazione con una logica meramente
deflattiva, tendenza confermata anche alla luce di recenti
provvedimenti;
b. dal
perseguimento in via prioritaria di obiettivi puramente quantitativi
di ricerca dell’efficienza, senza attenzione al bilanciamento
con le garanzie sostanziali e processuali;
E’
un percorso non condivisibile, in quanto presuppone che la crisi del
processo derivi esclusivamente dalle inefficienze – che pure
esistono – dei suoi protagonisti e nel contempo accredita un
modello del processo, che invece di rappresentare un insostituibile
strumento di composizione dei conflitti, si configura come una
rinuncia dello Stato ad una delle sue prerogative fondamentali,
perché il processo non è un esclusivo “affare dei
giudici”, ma costituisce una delle più democratiche
sintesi d’idee, sensibilità e saperi diversi, veicolati
da tutti gli attori che vi partecipano.
3.
In particolare, si corre il rischio che la prolungata inadeguatezza
delle strutture di supporto del processo del lavoro sia
contrabbandata per inidoneità del suo modello culturale a
tutto vantaggio di interessate forme di sua gestione privatizzata.
Sarebbe un errore di portata devastante, perché il rito
speciale rappresenta un tipo di processo moderno, trasparente e
tendenzialmente in grado di dare risposte in tempi ragionevoli se
accompagnato da adeguate risorse umane e materiali: infatti, laddove
ciò è avvenuto, ha continuato a funzionare secondo i
canoni della novella del 1973, consentendo altresì il continuo
affinamento della “specializzazione” del giudice del
lavoro, caratteristica strutturale della ratio della riforma e
“scommessa” ancora da giocare in questo campo
dell’amministrazione della giustizia.
Il
processo è, invece, entrato in crisi nelle sedi in cui non si
è fatto fronte con adeguato aggiornamento di risorse
all’enorme crescita della domanda di giustizia, soprattutto
nell’ipotesi di controversie di tipo cd. seriale, previdenziale
ed assistenziale. Il tutto aggravato da un’irrazionale
produzione normativa e da perduranti incapacità degli enti
previdenziali di fungere da filtro. Si scaricano così sul
processo compiti sostanzialmente amministrativi e si dà luogo
ad una supplenza indesiderata in primo luogo dai giudici.
Ne
consegue un numero abnorme di procedimenti che accentua l’incapacità
di risposta degli enti (ed è significativo che il maggior
numero di ricorsi per l’equa riparazione da irragionevole
durata del processo abbia trovato origine proprio nella materia
previdenziale).
Il
risultato è un circolo vizioso che, da un lato, suggerisce al
legislatore interventi di differimento della spesa pubblica e,
dall’altro, spesso induce le giurisdizioni superiori ad
orientamenti interpretativi da cui traspare la preoccupazione del
contenimento di spesa: ne è dimostrazione lampante la
giurisprudenza riguardante i lavoratori esposti all’amianto.
Così il diritto del lavoro e della previdenza slitta verso un
“diritto delle compatibilità finanziarie”, a
dispetto dei valori costituzionali coinvolti.
4.
Naturalmente non è questa la sede per dare indicazioni ed
approfondire analisi sulle tendenze dell’ordinamento; ma è
irrinunciabile sottolineare talune macroscopiche disfunzioni
organizzative che rendono la risposta della giustizia del lavoro
inadeguata alle domande dei cittadini. Su questi problemi, che
potrebbero essere eliminati con riforme a costo zero, l’insensibilità
e le responsabilità del vertice amministrativo sono clamorose.
Basti
pensare alla pressoché totale paralisi dello “sportello”
dell'ufficio destinato alle notifiche degli atti giudiziari in
materia di lavoro e previdenza in sedi di primaria importanza come
Napoli e Milano, oppure al blocco da parte della cancelleria della
sezione lavoro del Tribunale di Bari della pubblicazione delle
sentenze perché non vi sono i fondi per pagare il lavoro
straordinario degli addetti, il cui orario ordinario è già
assorbito dalle urgenze.
E
questi sono soltanto due degli innumerevoli esempi di gravissime
deficienze nella gestione e nel trattamento del personale
amministrativo, privato dei necessari aggiornamenti formativi e,
perciò, della possibilità di maturare adeguata e
specifica professionalità sulle problematiche particolari del
processo del lavoro.
Ed
ancora: come si può avanzare sulla strada
dell’informatizzazione, indispensabile a garantire una corretta
gestione dei flussi di contenzioso (soprattutto del processo
previdenziale caratterizzato da grandi numeri che richiedono tutti
vari adempimenti di cancelleria), se tanta parte del personale non è
addestrato sufficientemente all'uso del computer o se addirittura
(come in molte strutture) mancano i computer ed i programmi forniti
dal Ministero non sono adeguati alla gestione concreta delle udienze?
Il taglio dei fondi destinati al rafforzamento dell'informatizzazione
pregiudica altresì, nelle sezioni-lavoro di grandi dimensioni,
la conoscenza tempestiva degli indirizzi interpretativi all’interno
dell’ufficio e la tendenziale uniformità di giudizio,
unica forma seria e condivisibile di “certezza del diritto”
a garanzia dei cittadini.
5.
Tutte le proposte avanzate nel corso degli anni, anche da Commissioni
ministeriali di riforma del processo previdenziale, sono state
disattese.
Come
pure non ha trovato attuazione, anzi è stata cancellata
dall’agenda degli interventi urgenti per la giustizia una delle
poche novità positive, contenuta nelle ipotesi d’intervento
dell’attuale Governo e del Ministro della Giustizia: il cd.
Ufficio del Giudice, prospettiva di riforma “tarata”
sulle concrete necessità della giurisdizione del lavoro ed
idonea ad una corretta gestione del contenzioso cd. seriale ed a
fornire al giudice un supporto finalizzato all’aggiornamento
sulle continue modifiche legislative (particolarmente nel diritto
previdenziale) e sull’evoluzione giurisprudenziale della
sezione-lavoro della Cassazione, particolarmente rapida rispetto ad
altre branche del diritto.
Nulla
di tutto ciò; anzi, in non pochi uffici di primo grado manca
persino l'assistente d'udienza, che pur costituisce un supporto
insostituibile per gestire il sovraccarico di fascicoli, verbalizzare
in modo soddisfacente, realizzare oralità e concentrazione del
processo (e non v’è l’una senza l’altra).
Le
inadempienze del Ministro non finiscono qui. Nessun seguito è
stato dato al concreto ampliamento – ai sensi della legge
48/2001 (la nota disposizione sui tre concorsi di accesso alla
magistratura di cui solo uno è in fase di ultimazione) -
dell’organico complessivo dei giudici del lavoro ed alla
conseguente assunzione di circa 1000 magistrati, chiamati soprattutto
a colmare i vuoti derivanti dagli enormi ritardi con cui si sono
costituite le sezioni lavoro delle Corti d'Appello, uffici entrati in
funzione nel 2000 con personale giudiziario ed amministrativo del
tutto insufficiente. Eppure era prevedibilissima la “inondazione”
giudiziaria che ha poi travolto le Corti d'Appello di Roma e Napoli e
pesa su altre (ad es., Bologna) non messe in condizioni di
fronteggiare un contenzioso di secondo grado impari rispetto agli
organici, con “irragionevole” conseguente dilatazione dei
tempi processuali.
***
6. Siamo persuasi che gli operatori
della giustizia del lavoro non possono limitarsi alla periodica
presentazione di un cahier de dolèances.
E’ necessario riprendere e
proporre un discorso sul "che fare". Questo nella certezza
che, anche a prescindere da ogni intervento “sul”
processo, si debba ripartire dalla convinta rivalutazione dello
spirito che ha animato la legge 533/73, dalla capacità anche
autocritica di pensare un “rinascimento” della cultura
del processo come luogo di realizzazione dei diritti, nella comune
convinzione che, se le sensibilità e soprattutto la realtà
economica da allora sono molto mutate, anche nel XXI secolo la
funzionalità della giustizia del lavoro resta
un’insopprimibile istanza di civiltà a tutela di diritti
fondamentali della persona.
Nell’immediato, in ogni caso, può
essere utile la rivitalizzazione delle procedure cautelari e
monitorie, del tutto svalutate in alcune prassi applicative.
È
poi particolarmente sentita l’esigenza di rendere efficienti in
tutta Italia le procedure amministrative di concessione delle
prestazioni previdenziali ed assistenziali, oggetto di un
circostanziato studio da parte di una Commissione ministeriale
istituita per la riforma del processo previdenziale.
Nulla
è stato fatto, ad esempio per limitare l’indispensabile
controllo di legalità del giudice al solo versante
dell’interpretazione giuridica, riservando all’organo
tecnico la valutazione medico-legale. E non è sufficiente
osservare che questa è una questione d’interesse
pressoché solo meridionale, giacché è evidente
che il recupero di funzionalità del processo deve essere
realizzato proprio nelle sedi in cui esso soffre maggiormente con
l’effetto, tra l'altro, di allargare la “forbice”
tra le due Italie.
7.
Quel che sicuramente va evitato è pensare di deflazionare il
ricorso alla giustizia del lavoro estendendo anche al settore
previdenziale un filtro analogo al tentativo obbligatorio di
conciliazione previsto dagli artt. 410 e ss. c.p.c., che, lungi dal
produrre i benefici auspicati, ha invece dato pessima prova di sé
appesantendo inutilmente gli adempimenti necessari all’introduzione
della lite e fornendo, anzi, spunti ulteriori per defatiganti
questioni preliminari.
Tale esperienza suggerisce che eventuali
interventi correttivi – come ad esempio la possibilità
di “corsie preferenziali” per tipologie di contenzioso ad
alto impatto (licenziamenti, trasferimenti, demansionamenti etc.) –
siano attuati autorizzando duttili moduli organizzativi da adattare
alle realtà locali piuttosto che con modifiche al c.p.c., non
senza dimenticare che il primo e fondamentale strumento di deflazione
è dato proprio dal recupero di efficienza del processo, anche
nella fase esecutiva (ancora oggi abbandonata a meccanismi
farraginosi e solo apparentemente garantistici).
Fortemente
sconsigliabile è anche l’introduzione di procedimenti
incidentali a scopo conciliativo, adatti solo alle materie in cui la
conciliazione è comunemente avvertita come valore in sé
in vista della migliore tutela degli interessi in campo (v. il caso
della mediazione familiare), mentre nelle controversie di lavoro si
presterebbero ad agevoli strumentalizzazioni dilatorie.
8.
Nel ribadire la persistente attualità di queste come di altre
proposte, avanzate in più sedi e sempre finalizzate alla
restituzione al rito “speciale” di una funzionalità
adeguata all’alta caratura delle situazioni soggettive “in
gioco”, il coordinamento dei giudici del lavoro
dell'Associazione Nazionale Magistrati, l'Associazione Forense del
Lavoro e Iniziativa Democratica Forense si propongono - con spirito
costruttivo tra tutti gli operatori, tradizionale tra i giuslavoristi
e comunque unico mezzo in grado di restituire fiducia in
miglioramenti futuri - di dare vita ad un Osservatorio permanente
allo scopo di monitorare l’esistente e, in prospettiva, di
diffondere “buone prassi” per la migliore resa e tenuta
del processo del lavoro e previdenziale.
Si
indicano fin da ora come indispensabili a tale fine la necessità
di
- garantire una maggiore
professionalità specifica in materia di lavoro anche dei
giudici addetti alla trattazione delle procedure fallimentari, sempre
più spesso (a causa della tendenza negativa di tanta parte
dell’economia del paese) impegnati in controversie che
vedono coinvolti diritti dei lavoratori;
- realizzare un maggior
coordinamento tra l’ufficio di cognizione e quello
dell’esecuzione;
- diffondere una maggiore
attenzione verso la tendenziale riduzione delle disparità di
interpretazione che, pur nel rispetto dell'autonomia di ciascuno, non
possono spingersi sino al punto di disattendere consolidati indirizzi
interpretativi;
- rafforzare prassi di
consultazione in tema di organizzazione e funzionamento degli uffici.
Gruppo giudici del lavoro
dell’Associazione Nazionale Magistrati
Associazione
Forense del Lavoro - Napoli
Iniziativa Democratica Forense - Roma