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Sono
ancora sotto l’effetto (positivo) del seminario di sabato
scorso, che mio giudizio segna un punto importante nel nostro
dibattito, e mi scuso fin d’ora di non tenere conto degli
interventi del pomeriggio, che non ho seguito, e che mi dicono essere
stati molto interessanti.

La
magistratura parla da decenni di questi problemi (leggevo giorni fa
un articolo di Beria sugli ausiliari del giudice del 1979, sul
Corriere).

Se mai
è proprio questa la particolarità italiana, e non
proprio positiva: che siano stati i magistrati, da soli, a sviluppare
una dibattito ed una ricerca sulle migliori forme di organizzazione
del lavoro giudiziario e delle sue strutture, il che dimostra quanto
poco la politica italiana sia stata finora interessata al tema,
mentre altrove sono stati i politici ad imporre a giudice ed avvocati
le riforme di modernizzazione).

Ma la
novità è che stavolta il dibattito ha coinvolto i
funzionari amministrativi, i sindacati, gli avvocati associati, oltre
che il professor Zan, che ci osserva un po’ come Gulliver e ci
fornisce sempre spunti importanti, proprio perché non di
circostanza (tra l’altro, da quando ha scritto che i magistrati
sono Cosmopolitans, mi sono finalmente sentito gratificato!).

Mi
sembra che una volta tanto, a differenza di quanto avviene
generalmente nei nostri dibattiti, si sia raggiunto almeno un punto
di accordo, che condivido totalmente, e che fino a poco tempo fa non
era affatto pacifico:

Deve
esistere una struttura di assistenza al processo, secondo la
definizione proposta da Braccialini nella sua articolatissima
relazione, che deve essere distinta da quella amministrativa in senso
stretto. Zan, mi pare di capire, pensa addirittura, e coerentemente
con la sua impostazione (oltre che con la logica) che non dovrebbero
neppure esistere strutture o articolazioni non direttamente
funzionali al processo, nell’organizzazione degli uffici, e si
pone nella prospettiva del processo telematico, nel quale le funzioni
strettamente burocratico- amministrative di registrazione, riepilogo
dei dati, ed in parte anche di comunicazione degli atti, siano
automatizzate.

Spero
che la prospettiva si concretizzi presto, almeno, e sarebbe già
moltissimo, per le iscrizioni a ruolo, e si arrivi veramente a
liberare tante ore di lavoro (e tanti corridoi) anche se il paperless
trial non è una prospettiva così vicina, e, se
guardiamo al resto del mondo, mi sembra limitato, nella realtà
attuale, e solo entro certi limiti, a Singapore ed all’Australia,
mentre anche l’avveniristica California del “Governator”
è solo all’inizio del processo, e l’esperienza
inglese di MCOL credo arrivi all’8-10% di iscrizioni
telematiche.

Anch’io
credo che la prospettiva sia questa, prima o poi (più poi che
prima, purtroppo) non solo e non tanto perché ci sarà
un pugno di persone illuminate decise ad introdurre le nuove
tecnologie, come pure è necessario, ma perché, come
ovunque, sarà la forza della necessità ad imporlo, e
credo che sarebbe molto riduttivo vedere il processo telematico solo
come una forma facilitata di trasmissione degli atti. Il quadro che
ci ha fatto Pasquale Liccardo ci dà la misura di come potrà
( e dovrà) cambiare il nostro lavoro. La corte elettronica è
molto di più di un computer che riproduce quello che prima era
su carta, ma richiede un ambiente che si strutturi sulla base di
nuovi meccanismi, e richiede, non dimentichiamolo, una magistratura
ed un’avvocatura disponibili al cambiamento e versatili, e non
sarei così convinto che i partecipanti al seminario riflettano
fedelmente le caratteristiche della maggior parte dei magistrati e
degli avvocati. Basta ricordare quanto tempo ci è voluto
perché l’uso del computer si diffondesse tra la maggior
parte dei magistrati.

Piuttosto,
date le modestissime dimensioni di queste note, vorrei spendere due
parole sul tema specifico degli assistenti del giudice, sul quale si
è soffermato Braccialini, ma anche, tra i non magistrati, la
d.ssa Intravaia ed il dr. Arnone.

Già
in qualche altra occasione mi ero espresso sulla necessità che
almeno gli assistenti fossero distinti dal personale delle
cancellerie, con un rapporto diretto con il giudice.

Ora
prendo atto dell’accordo sulla necessità di una più
complessiva struttura per il processo, nozione certo più ampia
di quella degli assistenti, e meno personalizzata.

Sono
assolutamente d’accordo, ma la necessità di assistenti
giuridici non viene meno, credo, salvo precisare le loro concrete
funzioni.

Mi
pare di avere notato una certa contrarietà ad assumere, magari
a tempo, soggetti esterni all’amministrazione, e capisco
perfettamente che, in un paese come il nostro, e non solo per i
vincoli costituzionali in materia di assunzione ai pubblici uffici,
qualunque precariato determini legittimamente perplessità e
sospetti, e possa alimentare aspettative, o riserve mentali, di
stabilizzazione che annullerebbero quelle stesse finalità di
rotazione e ricambio che potrebbero in astratto giustificare
un’ipotesi di precariato.

Oltretutto,
e ne sono convinto per esperienza diretta, avendo lavorato in molti
uffici, in varie parti d’Italia, è vero, come hanno
ricordato anche la d.ssa Intravaia e il dr. Arnone, che
l’amministrazione ha al suo interno le risorse per affrontare
il problema, oggi spesso sottoutilizzate in compiti talvolta
mortificati e mortificanti .

In
questo senso sono certo che la struttura per il processo potrebbe
utilizzare personale già esistente, per quanto riguarda
l’assistenza alla preparazione, la pianificazione e la gestione
delle udienze, i rapporti con gli avvocati ed i CTU.

Sono
attività che richiederebbero qualche maggiore riflessione ed
approfondimento, per studiarne il migliore assetto e precisare in che
misura le norme che regolano il rapporto di lavoro dei nostri
funzionari siano compatibili con i nuovi compiti che dovrebbero
svolgere, e penso che saranno proprio i nostri colleghi di seminario
che ho già ricordato a darci preziose indicazioni in
proposito.

Diverso,
però, e vengo al punto che più mi preme, è il
caso di quelle figure di assistenti che potremmo chiamare assistenti
giuridici, e che dovrebbero collaborare con noi nella preparazione
dell’udienza con l’approfondimento dei temi procedurali e
sostanziali da affrontare, anche con eventuali ricerche
giurisprudenziali, se non nella redazione dei provvedimenti, che poi,
come è stato detto molto bene, saranno comunque firmati dal
magistrato, che ne assumerà la responsabilità.

D’altronde,
mi rendo conto che non è semplice, benché non
impossibile, in un contesto come il nostro, pensare di introdurre
figure come il Rechtspfleger della RFT, o come il Master inglese, che
emettono direttamente provvedimenti (in qualche modo minori, o a
contraddittorio differito) che noi considereremmo giurisdizionali.

Sappiamo
bene che questa componente di assistenza sarebbe in grado,
naturalmente coordinata con le altre della struttura, di
rivoluzionare il nostro lavoro e di moltiplicare in modo oggi
impensabile la produttività dei giudici.

Credo
che, in teoria, tutto sia possibile, e non sarò certo io ad
avere pregiudizi ideologici, e sono assolutamente convinto che il
nostro dibattito deve basarsi sulla nostra specifica situazione,
senza mettersi a scimmiottare gli stranieri, dove le figura
corrispondenti sono inserite in un quadro complessivo molto diverso
dal nostro.

Non
credo, però, che questa tipologia di assistenti sia
immediatamente reperibile, se non in casi del tutto particolari ed
occasionali, all’interno del personale amministrativo già
esistente, ed in questo senso trovo un po’ troppo ottimistico
l’accenno che mi sembra abbia fatto in proposito il dr. Arnone.

Si può
pensare certamente ad una nuova qualifica professionale, che però
richiederebbe tempi lunghi, a parte le risorse finanziarie, che
rendono del tutto illusoria, sul piano pratico, la prospettiva.

Ma
perché lasciar cadere la proposta che è venuta dagli
avvocati intervenuti al seminario di impiegare giovani tirocinanti o
specializzandi?

E’
una proposta molto, ma molto importante, secondo me, perché ci
permetterebbe di disporre di assistenti legali, che gli stessi organi
istituzionali dell’avvocatura dovrebbero selezionare,
preparati, motivati, senza aspettative di stabilizzazione, e senza
oneri per lo Stato, almeno in teoria.

In
questo caso, l’esistenza di un rapporto diretto, personale, tra
l’assistente ed il magistrato, che mi sembra vista
negativamente per quanto riguarda in genere la struttura di
assistenza al processo, è indubbiamente necessaria, per
ragioni pratiche, e non mi sembra destinata a creare attriti con il
personale interno, per l’eterogeneità dei compiti
svolti.

E’
importante anche perché potrebbe essere un primo passo
concreto per quella formazione comune degli avvocati e dei magistrati
che, a parole, molti dicono di volere, con una grande ricaduta sul
piano dei comportamenti concreti.

Non
sottovalutiamo, a questo proposito, che una simile proposta,
contrariamente a quanto molti possono pensare, è tutt’altro
che indolore da formulare da parte degli avvocati, che dovranno
certamente fronteggiare al loro interno opposizioni anche vivaci, da
parte di quella parte dell’avvocatura che ritiene improprio
“collaborare” con il giudice.

Avrei
molte altre cose da dire, ma per ora ve le risparmio.

Quello
che è determinante, però, è che l’iniziativa
alla quale stiamo cooperando si sviluppi poi in concreto con la
creazione di vere e proprie pratiche, per realizzare almeno quella
parte di proposte che non richiedono modifiche legislative, il cui
successo sarebbe il miglior veicolo pubblicitario.

Seminario di Bologna "Ufficio per il processo" - giugno 2004

29 09 2004
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